La Lobby del Rum

Si racconta che un giorno Re Giorgio III stava facendo una passeggiata a cavallo dalle parti di Weymouth, accompagnato da William Pitt il Vecchio, quando incontrarono una ricchissima carrozza, seguita da numerosi valletti a cavallo, vestiti di lussuose livree.
Con grande irritazione del Re, lo splendore della carrozza, e del suo seguito, sorpassava di molto quello della sua. Quando seppe che quella meraviglia apparteneva a uno grande piantatore di zucchero giamaicano, il Re esclamò:”Zucchero, zucchero, ehi? Tutto dallo zucchero? Quanto sono le tasse, ehi Pitt, quanto sono le tasse?”

Oggi è difficile da capire, ma alla metà del ‘700 la parte più preziosa dell’Impero Britannico erano le piccole isole delle Antille che producevano lo zucchero, le Indie Occidentali come erano chiamate allora, non le grandi colonie del Nord America.
L’élite dei Piantatori delle Indie Occidentali , i cosiddetti Sugar Barons, accumularono ricchezze immense . Molti tornarono a vivere in patria, e come tutti i nuovi ricchi, ostentavano apertamente le loro ricchezze: ville sontuose, arredi preziosi, gioielli,ori, pranzi favolosi, insomma tutto quello che il denaro poteva comprare. “Ricco come un Indiano Occidentale” divenne un comune modo di dire.
Come sempre nella storia, e non certo solo in quella britannica, il passo successivo fu puntare alla rispettabilità sociale che solo la terra poteva dare, ed al potere politico.

Comprarono grandi proprietà terriere con antichi castelli, divennero magistrati locali ed esponenti di confraternite e corporazioni. Infine, si fecero eleggere in Parlamento. Prima pochi, poi sempre di più. Si calcola che nel nel 1765, più di 40 membri del Parlamento erano “Indiani Occidentali”.

In Parlamento costituirono una vera e propria lobby con l’obiettivo primario di difendere i loro interessi in quanto produttori di zucchero e, per quanto qui ci riguarda, di rum. Si riunivano regolarmente in alcune taverne e caffè, avevano i loro leader e i i loro pubblicisti. I libri e gli articoli “scientifici” a favore del rum di cui abbiamo già parlato erano promossi e finanziati dalla lobby. Ma accanto alla formazione dell’opinione pubblica, si lavorò attivamente per far approvare leggi, decreti e regolamenti che favorissero il consumo di rum. Un aiuto venne anche dal clima.

Negli anni ’50 si susseguirono una serie di cattivi raccolti di grano con conseguente aumento del prezzo del pane che, ricordiamolo ancora, era l’alimento base delle classi inferiori. Per prevenire carestie e disordini, il Parlamento, spinto dalla lobby dello zucchero e del rum e con l’appoggio delle maggiori città portuali interessate ai traffici transatlantici, proibì la distillazione del grano, con cui si produceva il diffusissimo ed economico Gin.
Subito dopo , nel 1760 fu approvata una legge che abbassava fortemente i dazi doganali sull’importazione di rum, purché prodotto nelle Indie Occidentali Britanniche.
Senza gin e con il rum a buon mercato, le classi popolari si buttarono sulla nuova bevanda. Il consumo e l’importazione aumentarono enormemente.

Ma il capolavoro della lobby, fu l’inserimento del rum nelle regolari razioni di cibo e bevande che ricevevano i marinai ed il soldati delle forze armate imperiali. Con conseguenti grandi e lucrosi contratti di fornitura per flotte ed eserciti. Ma non solo.
I marinai ed i soldati che si erano abituati a bere rum durante i lunghi anni di servizio, volevano continuare a berlo anche dopo il congedo, quando tornavano alle loro case. Un caso di creazione da zero della domanda di un nuovo prodotto che fa impallidire le moderne strategie di marketing.

In poco tempo, il Rum e la Marina Britannica divennero inscindibili, e le distribuzioni giornaliere della razione di rum a bordo delle navi, un elemento fondamentale del folklore. Ci torneremo.

Marco Pierini

Havana Club: un marchio di successo

Nel 1935 all’Avana nasce l’Havana Club Bar nella Piazza della Cattedrale. In quel bar i baristi usano per i loro cocktail un rum che porta lo stesso nome, Havana Club. Un marchio di proprietà della grande impresa ronera Arechabala che lo produce nella città di Càrdenas: il grande successo del rum Havana Club inizia allora. Dopo la rivoluzione castrista del 1959, Arechabala, come le altre imprese cubane, viene nazionalizzata e continua la produzione, anche se credo un po’ in sordina.

Nei decenni successivi Havana Club viene esportato nella allora Unione Sovietica e negli altri Paesi Socialisti dell’Europa dell’Est, allora stretti alleati del governo cubano. Nel 1993, dopo il crollo dell’Urss, il governo cubano stringe un accordo con la multinazionale francese Pernod Ricard per rilanciare la produzione di Havana Club e distribuirlo in tutto il mondo. La mossa è un successo. In quegli anni Pernod Ricard cresce molto ed oggi è la seconda impresa al mondo nel settore delle bevande alcoliche.
E Havana Club arriva, o a volte torna, sui mercati di tutto il mondo, con l’esclusione, come sappiamo, degli Usa.

E’ un marchio di grande successo in particolare in Europa, dove da anni assistiamo ad una crescita del consumo di rum, e dove oggi Havana Club è il rum dorato più venduto.
Forza del marchio, forza del prodotto?

Il marchio è perfetto per l’immaginario collettivo dell’europeo medio sul rum. Tutti più o meno sanno qualcosa di Cuba e dell’Havana, e molti europei ci sono stati. E normalmente sono tornati incantati. Lo hanno bevuto a Cuba, e ne hanno comprato qualche bottiglia da portarsi dietro. E tornati a casa vogliono riprovare quelle emozioni, almeno in parte, e continuano a bere Havana Club.

Su questo inesausto desiderio europeo di esotismo la Pernod Ricard lavora con intelligenza. Visitate i siti di Havana Club. Sono belli, un po’ anticati, informati ma non troppo, colti il giusto. Soprattutto sono molto cubani. Le strade, le piazze, la gente, la musica, i paesaggi… Cuba è cucinata in tutte le salse. Forse troppe, ma insomma, non stucca affatto, anzi. E’ chiaramente un messaggio pensato per un pubblico europeo culturalmente abbastanza maturo ed avvertito che cerca roba buona, autentica, tipica e, certo, esotica. Rispetto ai siti di Bacardi e al loro marketing siamo su un altro piano.

Claudio Pierini

Quattro Passi fra le Botti

All’inizio del 1700, gli abitanti delle colonie inglesi del Nord America bevevano molto e bevevano soprattutto rum. In parte lo importavano dai Caraibi, in parte invece lo producevano in loco con la melassa importata dai Caraibi. Il rum prodotto localmente era considerato di minor qualità e costava meno; eppure, scrive nel 1702 il mercante di Filadelfia Isaac Norris, “Penso che abbia solo bisogno di invecchiare per avere un buon sapore ed è abbastanza forte”.

Questa lettera è la più antica traccia che ho trovato della consapevolezza che invecchiando il rum diventa migliore. Perché sul rum è stato scritto molto, ma, per quando ne so, un seria ricerca sulla storia dell’invecchiamento non è ancora stata fatta. Eppure l’argomento è interessante, molto.

Per adesso, è bene intanto  ricordare che appena distillato tutto il rum è bianco, come del resto tutti gli altri distillati. E che per secoli, il rum veniva consumato subito dopo la produzione, bianco. La botte era semplicemente in contenitore in cui il rum, come quasi tutte le altre merci, era trasportato.

E’ difficile per noi moderni renderci conto di quanto erano lunghi i viaggi all’epoca della vela e dei cavalli. Dalle piantagioni dei Caraibi alle taverne europee, il rum passava lunghi mesi nelle botti e probabilmente qualcuno si accorse presto che il rum arrivava migliore di come era partito. Ma la pratica di invecchiare coscientemente il rum per migliorarlo è relativamente recente. Ha radici nella seconda metà del ‘700, ma probabilmente fiorisce commercialmente solo un secolo dopo, verso la fine dell’800, prima a Cuba, pare,  e poi altrove.

Oggi invece nel mondo del rum si parla molto di invecchiamento. Sembra che senza invecchiamento non ci sia qualità, molte aziende lo mettono al centro delle loro campagne di marketing e gli anni scritti in etichetta sono spesso decisivi nelle scelte della maggioranza dei consumatori. Semplificando un po’, l’opinione comune è che più un rum è invecchiato, più deve essere buono e costare caro. Ma è davvero così? Oppure le cose sono diverse ed un po’ più complicate.

Ma, prima di tutto, che cosa è esattamente l’invecchiamento del rum, e di ogni altro distillato? Come cambia veramente il rum dentro la botte?  In estrema sintesi, l’invecchiamento è il periodo di tempo che il distillato passa nella botte di legno, prima dell’imbottigliamento. Con l’imbottigliamento il processo di invecchiamento del rum finisce. E durante questo periodo, fra il distillato, il legno della botte e l’aria esterna avvengono una serie di reazioni chimiche che ne modificano il colore, l’aroma ed il sapore.

Ma, tutte le botti sono uguali? Oppure contano il tipo di legno, l’età della botte, le sue dimensioni ecc. E quando qualcuno parla di Tropical Aging, cosa vuol dire?

Alla fine del processo, la composizione chimica del rum invecchiato è sommamente complessa. Il rum è una miscela di più di duecento componenti. E’ composto soprattutto di alcol etilico ed acqua, ma questi ultimi non sono responsabili dell’aroma e del sapore. Questa funzione ricade sui componenti minoritari o congeneri. Bene, fin qui ci siamo, ma forse è utile ed interessante saperne qualcosa di più.

Un’altra domanda: Sempre a proposito dell’invecchiamento, della qualità e del costo di una bottiglia,  dobbiamo sempre fidarci dei numeri che campeggiano nelle etichette? Forse no, forse è meglio essere prudenti, magari anche un po’ diffidenti e cercare di capire che cosa veramente vogliono dire.

Inoltre, da alcuni anni appaiono sempre più spesso in etichetta parole come Single Barrel o simili. Al di là delle seduzioni del marketing, che cosa vuol dire esattamente?

E forse sarebbe anche bene capire cosa significa dire che un rum è “terminato” in botti diverse da quelle in cui è stato invecchiato e spesso anche in Paesi diversi.

E ancora, ormai Solera è una parola che appare sempre più spesso sulle etichette. Solera, o Sistema Solera o anche metodo solera, è un metodo tradizionale di invecchiamento nato in Spagna per invecchiare i vini di Jerez che poi è stato usato anche per pochi rum particolari. Da qualche anno è invece molto diffuso, soprattutto per i rum prodotti in America Latina. Ma di che cosa si tratta veramente?

Ultimo, ma non meno importante, quali sono i costi ed i rischi dell’invecchiamento per il produttore? Perché è bene sapere che, per il produttore, invecchiare a lungo un rum è costoso, laborioso ed anche molto rischioso.

Marco Pierini

PS: ho pubblicato questo articolo in occasione del Rum Day 2018, tenutosi a Milano. Per saperne di più visitate www.therumday.it

Le Origini della Cachaça

Sulle origini della Cachaça circolano molte storie fra produttori, baristi e appassionati.

Prima di continuare, devo dire qualche parola sulla differenza fra Cachaça e rum. So degli sforzi del Brasile per difendere e promuovere la Cachaça come un prodotto tipico nazionale, con caratteristiche sue proprie, diverso dal rum. E penso che abbiano senso. Ma per quanto riguarda la mia Ricerca sulle origini del rum, la Cachaça e il rum sono la stessa cosa: distillati la cui materia prima viene dalla canna da zucchero.

La storia che circola nel Mondo del Rum comincia nel 1532, quando I Portoghesi iniziano a coltivare la canna in Brasile. Qualcuno dice che la produzione di un nuovo distillato dalla canna comincia quasi subito, altri qualche decennio dopo. C’è poi chi aggiunge che i Portoghesi avevano appreso l’arte della distillazione dagli Arabi mentre altri sostengono che in documenti dell’epoca appare la parola cagaza o qualcosa di simile. Insomma, le origini del rum secondo questa storia sarebbero sì in Brasile, ma quasi un secolo prima dell’arrivo degli Olandesi. Come spesso accade, questa storia rimbalza dai libri ai siti web, dai siti web ai festival e poi torna indietro. E la sua diffusione le fornisce autorevolezza e prestigio. Ma le sue fonti non sono chiare, come minimo. Qualcuno non cita alcuna fonte, altri indicano non meglio identificati documenti scritti.

E a questo punto devo fare alcune considerazioni di metodo su come si fa ricerca storica.

In primo luogo si fa spesso confusione fra la semplice fermentazione e la distillazione di bevande alcoliche. La distillazione commerciale diventa di uso comune in Europa sono all’inizio del 1600. Ed è difficile pensare che in Brasile sia arrivata prima.

Detto questo, per anticipare le origini del rum al 1532, abbiamo bisogno di fonti storiche affidabili sulla distillazione, e non la semplice fermentazione, dei derivati della canna. Nessuno, per quanto ne so, le ha fornite.

Poi, se la fonte è un documento scritto, per citarlo dobbiamo prima averlo letto direttamente o fidarci dell’autore che lo cita. E deve essere un documento ben identificato. Se è un normale libro stampato, basta il titolo, l’autore e la data di stampa. Ma se è un manoscritto o un libro antico e raro, dobbiamo dire in quale Biblioteca o Archivio è conservato, e la sua classificazione.

Infine, documenti scritti nel Portoghese del ‘500 non sono facili da capire. Come tutte le lingue, il Portoghese è cambiato molto nel corso dei secoli ed il significato delle parole spesso non ci è più chiaro. Per esempio, durante la maggior parte del periodo coloniale, la parola cachaza indicava la schiuma dei calderoni dove bolliva il succo di canna e non il distillato.

Concludendo, la storia sulle origini del rum/cahaza nel Brasile del 1532 non è ancora stata dimostrata.

Marco Pierini

Il marchio Havana Club fra Bacardi e Cuba

Qualcuno la ha già chiamata la guerra del rum. Dura in realtà da più di mezzo secolo, da quando nel 1960 il governo rivoluzionario cubano nazionalizzò le fabbriche Bacardi a Cuba. Anche se solo negli ultimi anni ha preso la sua forma attuale.

La Bacardi da una lato e la Pernod Ricard e il governo cubano dall’altro si sono contesi per anni la possibilità di usare il marchio Havana Club negli Stati Uniti. Ed ha vinto Bacardi. La Corte Suprema Usa, sì, proprio la Corte Suprema, ha posto fine alla disputa negando il 14 maggio alla compagnia Cubaexport la possibilità di difendere il suo diritto di iscrizione del marchio negli Stati Uniti.
Quindi negli Stati Uniti, e solo negli Stati Uniti, con il marchio Havana Club si continuerà a vendere un rum prodotto a Porto Rico dalla Bacardi. Mentre nel resto del mondo con il marchio Havana Club si vende un rum prodotto a Cuba e distribuito dalla multinazionale francese Pernod Ricard.
Prima della nazionalizzazione la Bacardi aveva già trasferito marchio e impianti all’estero quindi riuscì a sopravvivere fuori da Cuba ed oggi è una grande multinazionale con sede a Nassau, nelle Bermuda.
Ma Cuba continua ad essere centrale nell’immaginario collettivo dei consumatori di rum, e sotto il marchio, fortissimo, di Havana Club, in origine di proprietà della famiglia Arechabala e poi nazionalizzato, a Cuba si è continuato a produrre rum che a partire da un accordo del 1993, è distribuito dalla multinazionale francese Pernod-Ricard.

Nel 1996 la Bacardi mise in vendita negli Stati Uniti una marca Havana Club prodotta prima nelle Bahamas e poi a Porto Rico. La Pernod-Ricard rispose con una denuncia sostenendo che l’indicazione Havana Club confondeva i consumatori inducendoli a credere che il rum fosse prodotto, appunto, all’Havana. La Bacardi rispose che era solo un nome commerciale, non un’indicazione geografica, che certamente rinviava all’origine cubana della ditta, ma che sull’etichetta era chiaramente riportato il vero luogo di produzione. Così è iniziata la guerra legale a cui ha posto fine il 14 maggio scorso la sentenza della Corte Suprema. Come sempre quando si tratta di Cuba, ed in particolare di rum cubano, le considerazioni di ordine commerciale e legale si intrecciano con quelle di ordine politico. Alla base di tutto c’è ovviamente l’embargo che dura ormai da 50 anni degli Stati Uniti contro Cuba. E l’influenza che la Bacardi ha sulla politica degli Stati Uniti. Bacardí ha anche aiutato gli eredi in esilio della famiglia Arechabala a costituire in Liechtenstein la José Arechabala International, da cui ha acquistato i diritti di Havana Club nel 1997. Ed ha agito per far approvare una legge del 1998, detta “Sezione 211”, che nega il diritto di protezione intellettuale al marchio Havana Club cubano in territorio Usa, in quanto proveniente da espropriazione illegittima. Non è certo mia intenzione entrare nel merito di una vicenda cos’ complessa e che smuove simili interessi. Certo, la presenza di due rum diversi sotto lo stesso marchio Havana Club costituisce una situazione singolare e non facile da comprendere.

 

Marco Pierini

Showrum 2019

Il prossimo 13 e 14 ottobre si terrà a Roma la settima edizione di ShowRum, il primo festival del rum a comparire sul mercato italiano. Il festival è nato da un’idea di Leonardo Pinto – conosciuto membro della rum community e uno dei primi in Italia ad occuparsi di rum – il quale presenta il suo evento come “il più importante evento italiano dedicato ai distillati di canna da zucchero, il rum e la cachaça. Fra centinaia di etichette in degustazione, decine di masterclass, seminari, incontri, ed i nuovi spazi dedicati al mondo dei cocktail, il festival rappresenta l’occasione perfetta per accrescere la propria conoscenza in fatto di rum o scoprire, per la prima volta, il gusto autentico dei Caraibi.”

L’evento si terrà nell’A.Roma Lifestyle Hotel, in Via Giorgio Zoega 59.

Per chi volesse saperne di più:

https://www.showrum.it

Claudio Pierini

The Rum Day 2019

Fra i vari festival ed eventi dedicati al mondo del rum in Italia uno di quelli che destano maggiore interesse fra tutti gli appassionati di rum è il Rum Day, che si terrà il 27 e 28 ottobre a Milano, in via Watt 15.

Organizzato da bartender.it, questo evento  nato nel 2014 e giunto ormai alla sesta edizione è un importante punto di incontro in cui le aziende importatrici di rum nel mercato italiano presentano i loro prodotti a un pubblico interessato di addetti ai lavori e di appassionati. L’evento è arricchito da una serie di masterclass e di conferenze aperte al pubblico, e dalla presenza di uno shop che permette all’utente interessato di acquistare i prodotti presentati agli stand.

Per chi volesse saperne di più:

http://www.therumday.it/

http://www.bartender.it/

Claudio Pierini

Copenhagen: il primo festival nordico del rum

Lo scorso Giugno  sono andato a Copenaghen (Danimarca) per assistere al primo NORDIC RUM FEST,  NFR 2019.

L’evento si è svolto tra il 30 Maggio e l’1 Giugno a “The Plant Copenhagen”, un  bello spazio di  1000 metri quadrati, e nella vicina  “Copenhagen Distillery “. Ecco i numeri: oltre 40 stand con più di 70 brand e più di 400  varierà di rum. Con una novità: nella Distilleria i visitatori potevano godersi un’esperienza di fabbricazione di rum, dalla fermentazione alla distillazione.

NFR 2019 è il primo (e unico, per ora) Festival del Rum in Scandinavia. E’ stato voluto, concepito e organizzato da Daniel Bascunan. Fondatore del “Copenhagen Rum Club” , Imbottigliatore Indipendente, esperto ed appassionato di rum, Daniel è un buon amico e un membro molto conosciuto della Rum Family.

Molte ed interessanti le Master Class. Sono stato particolarmente colpito da quelle di Richard Seale (Foursquare) e di Alexandre Gabriel (Maison Ferrand). Seale e Gabriel hanno, come è noto, punti di vista largamente differenti, potremmo persino dire opposti, sul tema dello rapporto tra Tradizione ed Innovazione nell’industria del rum. Come storico del rum, è un tema che mi interessa molto, ma su cui non ho ancora opinioni ben chiare e definite: devo studiarci ancora un po’. In ogni caso, sono due leader in questo campo ed anche due brillanti oratori, dai quali c’è sempre molto da imparare.

Sabato primo Giugno, nel Main Stage, si è tenuto un dibattito estremamente attuale ed interessante sul nuovo  Regolamento europeo sulle bevande alcoliche, ben condotto da Peter Holland. Un gruppo di professionisti ed esperti altamente qualificati hanno discusso le nuove regole appena approvate dall’UE. Il dibattito si è concentrato prevalentemente sullo zucchero. Il vecchio Regolamento 110/2008 proibiva di aggiungere zucchero od ogni altro dolcificante al rum, anche se non fu spesso veramente rispettato. La nuova norma, al contrario, cita: “Il rum può essere dolcificato per arrotondare il gusto finale. Tuttavia, il prodotto finito non può contenere più di 20 grammi di prodotti dolcificanti a litro.” Molto si è discusso  anche sull’uso, e spesso abuso, del termine “solera”.

E finalmente arriviamo al rum. Ovviamente non è possibile menzionare tutti i tipi di rum presenti. E so che ogni scelta corre il rischio di deludere gli esclusi, ma non posso farci niente. Nominerò solo alcuni prodotti i quali, per varie ragioni, hanno particolarmente catturato il mio interesse. La maggior parte di essi sono rum recenti o rum poco conosciuti dal pubblico. Vorrei chiarire che non sto dicendo che questi siano i rum migliori, assolutamente no! Sono i rum che per qualche motivo, ho trovato più intriganti o semplicemente che non conoscevo.

All’ inizio del Festival ho incontrato Knud Strand, che mi ha introdotto al MHOBA Rum del Sud Africa. Il Mhoba è fatto con il succo della canna, distillato in alambicco e non contiene coloranti  o additivi. I produttori affermano che l’intero processo di fabbricazione avviene nella loro azienda. Nuovo ed interessante.

Personalmente, amo i rum agricoli francesi, sopra tutti i meravigliosi rum bianchi non invecchiati, che nella mia modesta opinione non hanno nessun bisogno di invecchiare. Ed è sempre un piacere incontrare Jerry Gitany e Benoit Bail diffondere instancabilmente il vangelo del Rum Agricolo in tutto il mondo con i loro TOUR.

E ora, dato che siamo in Danimarca, ecco due brand danesi che meritano attenzione.

SKOTLANDER RUM: un rum fermentato, distillato ed invecchiato in Danimarca. Esatto, avete letto bene: fermentazione, distillazione e invecchiamento vengono tutti eseguiti in Danimarca. Ho parlato con Anders Skotlander, proprietario della marca, chiedendogli il Come ed il Perché della sua impresa. Sul Come, lui afferma che il freddo clima del Nord influenza il processo di fermentazione e l’invecchiamento. Per via delle basse temperature la fermentazione di melassa, succo fresco e sciroppo è inusualmente lunga, fino a 4 settimane. Inoltre durante il processo di maturazione, la Ditta lavora con diversi tipi di barili, per esempio ex sherry, bourborn, vino rosso ed altro, sia piccoli che grandi. Sul Perché la risposta è stata una sola: Passione. E credo che sia un’ottima risposta.

Infine, CTR SPIRITS è un importante importatore e distributore nel mercato danese. Michala Milwerts mi ha spiegato (in un italiano molto fluente!) che hanno deciso di creare una nuova etichetta, Alta Gama Rum, che si focalizza su come diverse quantità di zucchero cambino un rum. Hanno imbottigliato un rum di Guyana, lo stesso rum,  con quattro differenti livelli di zucchero aggiunto. Così tutte e quattro le edizioni contengono la stessa miscela di rum e l’unico fattore che cambia è il contenuto di zucchero. CRT SPIRITS è uno dei primi brand di rum in assoluto a dichiarare la quantità di zucchero nelle etichette delle bottiglie. Affermano che non è una brutta cosa aggiungere zucchero al rum, anche se è spesso criticata da molti, purché tu sia onesto e dichiari la quantità aggiunta.

I prodotti di cui ho parlato sono buoni esempi della crescente attenzione verso l’artigianato, l’ autenticità, l’ informazione al consumatore, ecc. Per riassumere: verso la Qualità.

Marco Pierini