La Lobby del Rum

Si racconta che un giorno Re Giorgio III stava facendo una passeggiata a cavallo dalle parti di Weymouth, accompagnato da William Pitt il Vecchio, quando incontrarono una ricchissima carrozza, seguita da numerosi valletti a cavallo, vestiti di lussuose livree.
Con grande irritazione del Re, lo splendore della carrozza, e del suo seguito, sorpassava di molto quello della sua. Quando seppe che quella meraviglia apparteneva a uno grande piantatore di zucchero giamaicano, il Re esclamò:”Zucchero, zucchero, ehi? Tutto dallo zucchero? Quanto sono le tasse, ehi Pitt, quanto sono le tasse?”

Oggi è difficile da capire, ma alla metà del ‘700 la parte più preziosa dell’Impero Britannico erano le piccole isole delle Antille che producevano lo zucchero, le Indie Occidentali come erano chiamate allora, non le grandi colonie del Nord America.
L’élite dei Piantatori delle Indie Occidentali , i cosiddetti Sugar Barons, accumularono ricchezze immense . Molti tornarono a vivere in patria, e come tutti i nuovi ricchi, ostentavano apertamente le loro ricchezze: ville sontuose, arredi preziosi, gioielli,ori, pranzi favolosi, insomma tutto quello che il denaro poteva comprare. “Ricco come un Indiano Occidentale” divenne un comune modo di dire.
Come sempre nella storia, e non certo solo in quella britannica, il passo successivo fu puntare alla rispettabilità sociale che solo la terra poteva dare, ed al potere politico.

Comprarono grandi proprietà terriere con antichi castelli, divennero magistrati locali ed esponenti di confraternite e corporazioni. Infine, si fecero eleggere in Parlamento. Prima pochi, poi sempre di più. Si calcola che nel nel 1765, più di 40 membri del Parlamento erano “Indiani Occidentali”.

In Parlamento costituirono una vera e propria lobby con l’obiettivo primario di difendere i loro interessi in quanto produttori di zucchero e, per quanto qui ci riguarda, di rum. Si riunivano regolarmente in alcune taverne e caffè, avevano i loro leader e i i loro pubblicisti. I libri e gli articoli “scientifici” a favore del rum di cui abbiamo già parlato erano promossi e finanziati dalla lobby. Ma accanto alla formazione dell’opinione pubblica, si lavorò attivamente per far approvare leggi, decreti e regolamenti che favorissero il consumo di rum. Un aiuto venne anche dal clima.

Negli anni ’50 si susseguirono una serie di cattivi raccolti di grano con conseguente aumento del prezzo del pane che, ricordiamolo ancora, era l’alimento base delle classi inferiori. Per prevenire carestie e disordini, il Parlamento, spinto dalla lobby dello zucchero e del rum e con l’appoggio delle maggiori città portuali interessate ai traffici transatlantici, proibì la distillazione del grano, con cui si produceva il diffusissimo ed economico Gin.
Subito dopo , nel 1760 fu approvata una legge che abbassava fortemente i dazi doganali sull’importazione di rum, purché prodotto nelle Indie Occidentali Britanniche.
Senza gin e con il rum a buon mercato, le classi popolari si buttarono sulla nuova bevanda. Il consumo e l’importazione aumentarono enormemente.

Ma il capolavoro della lobby, fu l’inserimento del rum nelle regolari razioni di cibo e bevande che ricevevano i marinai ed il soldati delle forze armate imperiali. Con conseguenti grandi e lucrosi contratti di fornitura per flotte ed eserciti. Ma non solo.
I marinai ed i soldati che si erano abituati a bere rum durante i lunghi anni di servizio, volevano continuare a berlo anche dopo il congedo, quando tornavano alle loro case. Un caso di creazione da zero della domanda di un nuovo prodotto che fa impallidire le moderne strategie di marketing.

In poco tempo, il Rum e la Marina Britannica divennero inscindibili, e le distribuzioni giornaliere della razione di rum a bordo delle navi, un elemento fondamentale del folklore. Ci torneremo.

Marco Pierini

ESERCITO E RUM

Negli articoli precedenti abbiamo raccontato di come il rum abbia conquistato il cuore (ed il mercato) degli inglesi nel Settecento, a seguito di una delle più grandi e vittoriose campagne di marketing mai state effettuate. Abbiamo visto come la penetrazione del rum nel mercato inglese sia stata il risultato di un organizzato sforzo lobbystico portato avanti dai grandi piantatori delle Indie Occidentali su Governo, Parlamento e Marina Militare e con l’aiuto del mondo della scienza e della moda. Secondo S. W. Mintz, nel suo libro “Sweetness and Power”, questo intervento dello Stato ha rappresentato un vero esempio di “strisciante socialismo,  molto necessario per una industria nascente”.

Per completare la cornice di questo sforzo pubblico volto a promuovere il consumo di rum, ora vogliamo parlare della diffusione del Rum nell’esercito britannico nel Settecento e all’inizio dell’Ottocento, quello che R.N. Buckley ha definito nel suo libro “The British Army in the West Indies” come “alcolismo sponsorizzato dallo Stato”.

Tradizionalmente i soldati inglesi avevano birra – e occasionalmente del vino – all’interno della loro razione giornaliera. L’esercito non aveva il problema che affliggeva la Marina di mantenere l’acqua e la birra potabili durante lunghi viaggi oceanici, pertanto non si poneva la necessità di distribuire distillati ai soldati.

Una distribuzione massiva di Rum ai soldati iniziò soltanto intorno alla metà del Settecento nelle Indie Occidentali e nel Nord America e aumentò rapidamente nel corso del secolo. Tuttavia, durante le ostilità che videro gli Inglesi apporsi ai Francesi e ai Nativi americani (all’interno del conflitto noto come “Guerra dei Sette Anni”, fra il 1756 e il 1763), il rum veniva distribuito solo in occasioni speciali, ad esempio quando gli uomini dovevano affrontare il maltempo e/o la stanchezza, ma non era prevista alcuna dose giornaliera. Solo durante la Rivoluzione americana (1775 – 1783) sappiamo con certezza di una razione quotidiana di rum: un gill al giorno, che equivale a un gallone al mese (quasi 4 litri).

Ma in America il rum era economico e facile da acquistare in grandi quantità. Locandieri con licenza, senza licenza, mogli di soldati, piantatori, e spesso gli stessi ufficiali vendevano rum economico ai soldati. E i soldati ne compravano e bevevano in enormi quantità, con una bramosia irrefrenabile. Ne bevevano in quantità tali che probabilmente passavano la maggior parte del tempo in uno stato di quasi ubriachezza.

Ma perché? In generale, nel Settecento, anche in patria i Britannici bevevano moltissimo, vedi la cosiddetta “Gin Craze“. Inoltre, la vita di un soldato era allo stesso tempo brutale e noiosa. Nelle Indie Occidentali, molte e dolorose malattie, spesso mortali, flagellavano i soldati, più delle armi nemiche. A brevi momenti in battaglia, con grandi fatiche e tanto sangue, seguivano lunghi periodi di noia e inattività con condizioni di vita dure e disciplina rigida. Ubriacarsi era spesso l’unica via di fuga possibile da questa tremenda routine. Il vino e il brandy erano costosi, troppo per i soldati semplici, mentre il rum era economico e disponibile in grande quantità. Il rum, quindi, era la bevanda più consumata, l’unica che poteva garantire un po’ di evasione alle masse dei soldati.

L’ubriachezza peggiorava la già scarsa salute dei soldati, con conseguenze negative sull’efficienza dell’esercito. Inoltre, minava la disciplina e metteva a dura prova le relazioni con le popolazioni civili, con un malcontento diffuso, fustigazioni e corti marziali. Molti ufficiali e chirurghi militari erano ben consapevoli dei pericoli di questa situazione, ma non erano in grado di cambiarla.

Il fatto era che i soldati volevano bere. O meglio, volevano ubriacarsi nel modo più rapido ed economico possibile. Pertanto, distribuire rum era il modo più semplice ed efficace per ottenere in cambio fedeltà e ubbidienza. Gli ufficiali sapevano che tentare di tagliare o anche solo limitare le razioni di rum poteva portare subbugli ed anche aperti ammutinamenti. Inoltre, l’alcol aveva radici profonde nella cultura militare.

L’opinione della medicina ufficiale era anch’essa ambivalente: molti medici condannavano l’abuso di alcol, mentre altri lo ritenevano utile per preservare la salute degli uomini sia in condizioni di clima freddo o caldo sia “come precauzione contro l’aria nociva”. Infine, quando non erano in servizio, le truppe di solito non vivevano in caserme, ma erano alloggiate in taverne e case di civili dove un vero controllo era impossibile, e il rum facilmente reperibile.

Quindi, l’ubriachezza dei soldati era comune nell’esercito britannico fino all’Ottocento inoltrato. Ma che tipo di rum bevevano, però? Vediamo.

John Bell aveva servito come chirurgo militare in Giamaica. Rientrato in Inghilterra, nel 1791 pubblica “An Inquiry into the causes which produce, and the means of preventing diseases among British Officers, Soldiers, and others in the West Indies. Containing observations on the action of spirituous liquors on the Human body” (traducibile con “Un’inchiesta nelle cause che producono e nei mezzi che prevengono malattie fra ufficiali inglesi, soldati ed altri nelle Indie Occidentali. Contiene osservazioni sull’azione dei liquori spiritosi”). Come molti, Bell era scioccato dal tasso di mortalità “in alcuni reggimenti i due terzi, in altri quasi la metà degli uomini, morirono o furono resi inabili al servizio prima che fosse passato un anno, o al massimo un anno e mezzo, dal loro arrivo nell’isola della Giamaica”. Nelle Indie occidentali le malattie – le  “febbri “- uccidevano molti più soldati delle armi dei nemici.

Come molti medici della sua epoca, Bell sottovalutava il ruolo delle malattie infettive e pensava che il clima, la dieta e lo stile di vita fossero i fattori principali che garantivano una buona salute. Secondo lui, l’eccessivo consumo quotidiano di rum era la causa principale delle malattie e dell’alta mortalità tra i soldati. La razione giornaliera era mezza pinta (quasi 0,3 litri) e di solito era diluita con acqua, non sappiamo in quale rapporto. Ma i soldati compravano anche a basso prezzo molto rum non diluito, “grandi quantità e di qualità tra le più esecrabili”, da venditori privati.

Bell non approvava l’aggiunta di acqua al rum. “Con questo modo di usarlo, il rum è forse più dannoso per il corpo di qualsiasi altra bevanda, perché esercita un’impressione semplice e non raggruppata, che diventa più debole con una frequente ripetizione della sua causa: e quindi, dopo qualche tempo, un aumento di la quantità di spirito diventa necessaria”. In altre parole, la razione giornaliera del rum diluito dall’esercito spianava la strada all’alcolismo.

Ma non basta. La distillazione è un’arte, ma assai pericolosa, anche oggi. Due secoli fa, nelle Indie Occidentali, piantatori e distillatori producevano per i soldati un tipo di rum che doveva essere solo forte ed economico. Veniva fermentato e distillato molto rapidamente, risparmiando sui costi, senza alcun invecchiamento o rispetto per la qualità. Per quanto ne sappiamo, le teste e le code non venivano rimosse e con ogni probabilità all’interno del rum c’era metanolo e tanti congeneri “cattivi”. E probabilmente anche polvere di piombo. Sì, perché all’epoca il piombo ed il peltro venivano largamente usati nei calderoni, tubi, alambicchi ecc. usati per la produzione di zucchero e di rum.

Sappiamo di soldati che morivano subito dopo aver bevuto, o che cadevano a terra in uno stato di torpore, di giovani robusti che deperivano rapidamente. Di dolori lancinanti, organi ulcerati, malattie …. Le notizie riportate dai chirurghi militari dell’epoca e le prime autopsie scientifiche ci raccontano una storia terrificante.

Per riassumere, sembra che il rum dei soldati non era più solo il “liquore caldo, infernale e terribile” descritto da Richard Ligon negli anni Cinquanta del Seicento, ma era spesso una vera bevanda tossica.

Marco Pierini

PUNCH !

Come abbiamo visto nei precedenti articoli, nel corso del ’700 il rum penetrò profondamente nella cultura del popolo britannico. Una delle ragioni del suo successo fu la grande diffusione di una bevanda che, come il rum, venne presto considerata qualcosa di tipicamente British, il Punch.

Per quanto ne so la parola compare per la prima volta in una lettera scritta da un soldato della Compagnia delle Indie ad un factor , cioè un rappresentante commerciale, della stessa nel 1632. Poco anni dopo, in altre lettere e resoconti di viaggio in Oriente, sempre negli ambienti della Compagnia, compare la descrizione degli ingredienti di base con cui era fatto: acqua, distillato, agrumi, zucchero e spezie. E questa è rimasta sempre la composizione fondamentale del Punch. I pareri sono invece discordi su chi lo abbia realmente inventato. Secondo alcuni era una bevanda tradizionale indiana, che poi gli inglesi hanno fatto propria. Altri pensano invece che sia stata inventata da qualche factor della Compagnia delle Indie Orientali per sopportare meglio la noia, la solitudine, la incombente presenza di un mondo grande ed estraneo. Uno degli autori che più approfonditamente si è occupato della materia, formula l’ipotesi che sia stato inventato invece dai marinai britannici in Oriente.

Comunque, per fare il Punch, in India usavano l’Arrak, un distillato proveniente da varie materie prime, fra cui la canna da zucchero. In Gran Bretagna all’inizio utilizzarono il Brandy, ma presto il Rum divenne il distillato più usato nella preparazione del Punch, forse perché fin da quei tempi capirono che il rum era ottimo in ogni tipo di miscelazione.

Il Punch è una costante della vita sociale britannica del ‘700, tanto che la letteratura dell’epoca ne è piena. Per esempio, Henry Fielding fa dire al cappellano di una prigione “Se proprio dobbiamo bere, allora beviamo una Coppa di Punch – un Liquore che preferisco, dato che nelle Scritture non si parla mai contro di lu “ E il famoso giornalista Ned Ward sostiene che il Punch “ se composto di buoni ingredienti, e preparato con cura, supera di gran lunga tutte le bevande lisce dell’universo”. Era consumato in grande quantità, sia freddo che caldo, con agrumi, spezie e quant’altro accendesse la fantasia di chi lo preparava. Veniva bevuto a balli e matrimoni e in ogni genere di festa o ritrovo mondano. A questi eventi socialmente rispettabili partecipavano anche le donne che si abituarono quindi a bere il Punch ed il Rum.

Poi c’era un altro famoso tipo di evento sociale. Spesso un gruppo di amici, qualche volta facenti parte di un Club, si riuniva per lunghe notti di baldoria attorno al Flowing Bowl (che tradotto un po’ alla buona potrebbe essere Coppa dell’Abbondanza), come era chiamato dai suoi devoti l’apposito contenitore in cui veniva preparato il Punch. La Coppa troneggiava generalmente al centro del tavolo e da essa i convitati prendevano il Punch con uno o più cucchiai per versarlo nei loro bicchieri. Dopo un po’, quando tutti erano ormai alticci, spesso qualche buontempone beveva il Punch rimasto direttamente dalla Coppa, usandola come una specie di grossa tazza. A queste feste partecipavano solo uomini adulti e benestanti, qualche volta con la compagnia di alcune signore non proprio “perbene”, mentre le donne rispettabili ne erano escluse. Questo tipo di riunione mondana incentrata sul Punch fu immortalata dal grande pittore e incisore satirico William Hogarth nella sua famosa opera “A Midnight Modern Conversation” che illustra questo articolo.

Il Punch era caro. Nella Gran Bretagna del ‘700 gli agrumi erano difficili da trovare, spesso non erano buoni e comunque erano sempre costosi. Altrettanto costose erano le spezie, fra cui primeggiava la noce moscata. Infine lo stesso recipiente, il Bowl, diventò sempre più elaborato, spesso realizzato da bravi artigiani ed arricchito con decorazioni e metalli preziosi. Credo anche che uno dei modi di berlo, quelle lunghe nottate passate in compagnia attorno ad un tavolo a fumare, bere e parlare, non fosse alla portata di chi doveva alzarsi la mattina dopo per andare a lavorare. Insomma, i ceti inferiori non potevano permetterselo ed anche per questo il Punch divenne socialmente rispettabile

Nacque una vera e propria cultura del Punch e il rum, che del Punch era l’ingrediente fondamentale, cominciò a brillare di luce riflessa: perse la sua cattiva fama di distillato a buon mercato e di infima qualità, buono solo per soldati, marinai e altra gente di basso rango e fece il suo ingresso nella buona società britannica.

Marco Pierini

RUM E SALUTE

Uno degli errori più diffusi fra i contemporanei è la profonda e spesso inconsapevole convinzione che il mondo sia cominciato oggi, o al massimo ieri. Cioè, la convinzione che molti dei fenomeni che osserviamo nel nostro mondo siano assolutamente nuovi, mai visti prima. Questo accade per esempio con la moderna ossessione per il benessere, la cura del corpo, la salute. Ci sembra un fenomeno nuovo, frutto della società moderna, ricca ed affluente. Un fenomeno, molti pensano,  sconosciuto in passato, quando la società era più povera e rude, concentrata sulle cose essenziali della vita. Bene, non è vero.

La Gran Bretagna del ‘700 era ricca e potente. Politicamente ed economicamente nessuno la minacciava seriamente. E la buona società britannica era ossessionata dalla ricerca della salute, del corpo e della mente. La moderna medicina scientifica era solo all’inizio e per difendere la salute e migliorare il benessere si studiavano con impegno l’aria, il clima, il cibo, le bevande, le abitudini ecc. E’ questo per esempio il secolo in cui si diffondono le cure termali e l’uso dei bagni di mare per fini terapeutici. E’ anche il secolo in cui la fiducia nelle virtù salutari degli Spiriti comincia a vacillare.

I primi distillatori italiani del Duecento, dettero al loro liquore il nome di Aqua Vitae, acqua della vita, perché erano convinti che fosse una panacea per molte malattie. Questa diffusa convinzione aveva una solida base reale. So poco di storia della medicina,  ma sicuramente anche se all’epoca non si sapeva dell’esistenza dei microbi, le proprietà antisettiche dell’alcol erano evidenti. In un mondo pieno di microbi e spesso ignaro delle più elementari regole di igiene, è ragionevole pensare che i malati a cui era somministrato alcol ne avessero dei benefici. Da allora in tutta Europa e poi nelle colonie americane, rimase diffusa per secoli la convinzione che le bevande distillate fossero benefiche per la salute.

Nel ‘700 la nascita di una nuova e scientifica medicina cominciò a minare la fiducia nelle proprietà salutari dei distillati ed alcuni medici misero in evidenza i pericoli di un loro consumo eccessivo. Anche i movimenti per la temperanza muovevano i loro primi passi. Per stimolare il consumo di rum, era quindi necessario presentarlo come una bevanda salutare, che non nuoceva alla salute, anzi che faceva bene. Ancora meglio se si riusciva a scaricare il peso della nuova diffidenza verso gli Spiriti sui suoi concorrenti. Che nella gran Bretagna dell’epoca erano soprattutto due: il brandy fra le classi superiori e il gin fra quelle inferiori. Ed ambedue vennero attaccati.

Già nel 1690 un Dalby Thomas scrisse che il rum è “ più salutare per l’organismo [ del brandy] come si osserva dalla lunga vita degli abitanti delle colonie che sono grandi bevitori di Rum … e invece dalla breve vita di quelli che in patria sono grandi bevitori di Brandy”.  E nel 1770 quando le importazioni di rum avevano ormai superato quelle di brandy il Dottor Robert Dossie scrive: “Bere Rum con moderazione è più salutare, e berlo in eccesso è molto meno dannoso, che bere Brandy” Seguono pagine e pagine di prove mediche, dissertazioni chimiche, esperimenti “scientifici” ecc.

Il gin era un bersaglio più facile. Per produrlo si consumava il grano, prezioso per fare il pane, e la sua vasta diffusione fra i poveri era un grande problema sociale. Tanto che verso la metà del secolo il Parlamento intervenne con proibizioni e limiti che ridussero grandemente la produzione ed il consumo. E per ribadire la superiorità del rum un anonimo autore scrive nel 1760:
“Dalla proibizione del Gin, il consumo di Rum è molto cresciuto, e tuttavia la Ubriachezza Cronica con tutti I suoi spaventosi Effetti, è interamente cessata” e “ Il Gin è molto più dannoso per il Corpo Umano che lo Spirito dello Zucchero”

Poi il nostro autore prescrive il rum per l’inappetenza ed altre malattie affermando che il rum è indicato per “gli appetiti deboli e svogliati e per la digestione, e per molti disturbi debilitanti” e, dopo lunghe raccomandazioni di autorevoli medici, conclude: “Il Gin è uno Spirito troppo forte, acre e brucia troppo per l’Uso interno, ma il Rum è uno Spirito così lieve, balsamico e benigno che, se appropriatamente usato e diluito, può essere grandemente utile sia per il Sollievo che per l’Intrattenimento della Natura Umana”

Così, con l’aiuto dei suoi amici e delle loro argomentazioni “scientifiche”, il rum cominciò a conquistare le menti e le gole del popolo britannico.

Marco Pierini

RUM contro BRANDY

Fra il 1689 (inizio della cosiddetta Guerra di Re Guglielmo) e il 1815 (sconfitta definitiva della Francia napoleonica) l’Inghilterra/Gran Bretagna e la Francia si combattono in una lunga serie di guerre. Al di là delle singole cause di ciascuna di esse,  secondo alcuni storici queste guerre sono solo fasi di un unico lungo conflitto per la supremazia in Europa e nel Mondo.

Appare quindi sempre più intollerabile per il governo britannico finanziare il nemico attraverso la massiccia importazione di vino e di brandy, che venivano acquistati soprattutto proprio  in Francia e nella sua alleata Spagna.

Per il vino si trova presto una alternativa. Vengono stretti accordi commerciali con il Portogallo e il vino portoghese sostituisce in gran parte quello francese, grazie anche alla passione degli inglesi per i vini dolci. Ma il brandy è un osso duro. Le classi dirigenti inglesi lo amano alla follia e non vogliono farne a meno.

Durante una delle guerre dell’epoca, l’esercito inglese rimane a lungo nei Paesi Bassi e si dice che i soldati inglesi in quella occasione imparano a bere e ad apprezzare il gin, un distillato locale inventato da poco. Tornati in patria continuano a berlo e presto in Inghilterra nascono numerose distillerie. La storia del gin è molto interessante, e magari prima o poi ne parleremo come merita. Per adesso però ci basta sapere che in pochi anni l’Inghilterra diventa una grande produttore e consumatore di gin. Ma il gin rimane una bevanda per i poveri, che ne bevano troppo con drammatiche conseguenze per la loro salute e per l’ordine sociale. E poi per fare il gin ci vuole il grano, indispensabile per fare il pane cioè l’alimento base delle classi inferiori. Spinto dall’enorme diffusione del gin e dell’ubriachezza fra le classi inferiori e dal pericolo di carestie per la scarsità di grano, il Parlamento interviene con varie leggi e regole che limitano fortemente la produzione ed il consumo di gin che rimane una bevanda per i ceti inferiori senza competere con il brandy.

Poi qualcuno scopre il rum. Il rum è interamente prodotto nelle colonie inglesi, quindi la ricchezza spesa per comprarlo resta in casa. Per farlo non si consuma grano prezioso, ma i sottoprodotti della produzione dello zucchero, quasi inutili, a basso prezzo e disponibili in enormi quantità. E’ quindi il distillato perfetto per sostituire il brandy

All’inizio del ‘700 in patria i consumi di rum sono bassissimi e gli inglesi non lo conoscono ancora bene. Tanto che Daniel Defoe nel suo “Moll Flanders” pubblicato a Londra nel 1722, raccontando un episodio della vita della sua eroina in America, si sente in dover di spiegare ai suoi lettori inglesi che cosa è il rum: “Chiamai comunque una cameriera e gli feci portare un bicchierino di rum (che è il liquore in uso da quelle parti), perché era sul punto di svenire.”

Inoltre le classi alte non lo considerano adatto a loro: è grezzo, poco fine e costa troppo poco. Perché possa sostituire il brandy è quindi necessario farlo conoscere, abituare il popolo a consumarlo, ma contemporaneamente anche elevare la sua immagine e il suo costo.

Non sembra un’impresa facile, ma i piantatori delle Indie Occidentali, il Parlamento, i Governi e i funzionari pubblici in genere, uniscono i loro sforzi in quella che oggi chiameremmo una massiccia e aggressiva campagna di promozione del rum.

E ce la fanno. Ecco alcuni dati: Nel 1697 l’Inghilterra e il Galles importano (legalmente) solo 22 galloni di rum. Nel 1710 22.000 galloni. Nel 1733 500.000 galloni! E a partire dal 1741 le importazioni di rum superano regolarmente quelle di brandy.

E non è solo un aumento temporaneo dei consumi. E’ molto di più: il rum penetra profondamente nella vita quotidiana e nella cultura del popolo britannico che impara a sentirlo come una cosa sua, un segno di identità. Fino a ieri, forse anche fino ad oggi.  Un successo totale. Un capolavoro di marketing al cui confronto le moderne campagne promozionali impallidiscono.

Come ce la fanno? Cercheremo di capirlo con i prossimi articoli.

ARRIVA IL GROG

Nell’Aprile del 1731 in alto mare, probabilmente non lontano da La Havana, un guardacostas spagnolo abbordò il brigantino britannico Rebecca, per sospetto di contrabbando.

 

 

Jenkins mostra il suo orecchio al Primo Ministro Robert Walpole

Che cosa successe veramente dopo non è chiaro, ma 7 anni più tardi, nel 1738, a Londra il Capitano del Rebecca, Robert Jenkins, esibì davanti a un comitato della Camera dei Comuni i resti del suo orecchio sinistro, che – disse – gli era stato tagliato dagli spagnoli mentre saccheggiavano la sua nave e insultavano il Re britannico. L’opinione pubblica era già furibonda con la Spagna per altri “oltraggi” subiti da navi britanniche e il Governo Britannico dichiarò guerra alla Spagna, una guerra più tardi nota come “La guerra dell’orecchio di Jenkins”.

 

 

“La presa di Portobelo”  S.Scott 1741

Nel 1739 una grande flotta salpò per le Indie Occidentali sotto il comando del Vice Ammiraglio Edward Vernon, che diventò un eroe nazionale con la conquista dell’importante città spagnola di Portobelo, sulla costa atlantica di quello che oggi è Panama. Successivamente le cose gli andarono molto meno bene, ma non di questo ci interessiamo ora. Per noi appassionati di rum, la sua duratura e meritata fama è dovuta alla “invenzione” del Grog.

Come abbiamo visto nel precedente articolo, nelle Indie Occidentali il rum veniva distribuito quotidianamente ai marinai britannici al posto della birra. Di solito i marinai lo bevevano puro, in un sorso solo. Era un’abitudine pericolosa, che provoca

va molti incidenti durante le manovre ed anche gravi problemi di disciplina. Ricordiamo che all’epoca la gradazione alcolica del rum era probabilmente molto maggiore di quella a cui siamo abituati oggi. Comunque, a bordo delle navi militari britanniche anche a causa dell’ubriachezza gli  incidenti, le malattie e le durissime punizioni flagellavano gli equipaggi, spesso più delle armi nemiche.

Preoccupato per la salute dei marinai e per l’efficienza della flotta, Vernon affrontò il problema con decisione. Prima si consultò con i Capitani e i medici di bordo della sua flotta, poi, il 21 Agosto 1740, firmò un Ordine che merita di essere citato per esteso (la traduzione è mia e chiedo scusa in anticipo)

… la pericolosa abitudine dei marinai di bere la loro razione di rum in bicchieri, e spesso tutta in una volta, provoca molti effetti fatali sia alla loro morale che alla loro salute … “

 [quindi ordino ai Capitani]

…che il rum non sia più servito puro … ma che la regolare razione quotidiana di mezza pinta per uomo … sia ogni giorno mescolata nella proporzione di un quart di acqua per ogni mezza pinta di rum alla presenza dell’Ufficiale di Giornata, che deve avere particolare cura nel vedere che gli uomini non siano defraudati della loro piena razione di rum, e che dopo essere mescolato sia servito agli uomini due volte al giorno, una fra le ore 10 e le 12 della mattina, e l’altra fra le 4 e le 6 del pomeriggio”

Sempre sia lodato chi ha inventato il sistema metrico decimale, la storia delle unità di misura prima della sua adozione, e in Gran Bretagna ed Usa anche dopo, è infatti un vero ginepraio Con in più la complicazione che le misure cambiavano a seconda del contenuto (per esempio liquidi o cereali) e degli anni. Inoltre, le tecniche di produzione preindustriali non erano in grado di produrre barili standard, sempre uguali. Per fortuna a noi basta sapere che un quart nel 1740 era la quarta parte di un gallone, cioè poco più di 1 litro; e mezza pinta era circa poco più di un quarto di litro. Quindi la bevanda era formata da circa 1 parte di rum per 4 parti di acqua. I marinai non gradirono affatto la novità, loro volevano ubriacarsi con il vero rum,  non berlo annacquato. Ma la disciplina era ferrea e dovettero farsene una ragione. L’ubriachezza a bordo non scomparve, però diminuì significativamente e con essa gli incidenti e le punizioni. Insomma, l’innovazione fu un successo.

All’inizio l’ordine valeva solo per la flotta comandata da Vernon, ma successivamente l’Ammiragliato estese a tutta la Marina le stesse regole. Con il tempo poi la razione di rum diminuì e fu distribuita solo una volta al giorno dando vita a uno dei più impressionanti, radicati, tipici e francamente stupefacenti, rituali della Marina Britannica. Un rituale chiamato Up Spirits o anche Tot, che durò più di 200 anni. Ci torneremo.

La nuova bevanda non aveva un nome, ma con la loro inventiva per nomignoli e soprannomi, i marinai ne inventarono presto uno. Vernon era chiamato dai marinai “Old Grogram” per una mantello impermeabile che amava indossare, fatto di un tessuto detto Grogram.

E la sua bevanda divenne presto nota come “Grog”.

RUM PER I MARINAI !

 

 

Bahamas, Cuba, Giamaica e Hispaniola   circa 1650

In un freddo mattino del 26 Dicembre 1656, una grande flotta lasciò l’Inghilterra. La flotta, 37 navi da guerra, era comandata dal Vice AmmiraglioWilliam Penn mentre i 3.000 soldati che trasportava erano al comando del Generale Robert Venable.

Gli ordini erano semplici e chiari: la flotta doveva conquistare un pezzo pregiato dell’impero spagnolo in America, la grande isola di Hispaniola (oggi divisa fra Haiti e la Repubblica Domenicana). In passato corsari e pirati inglesi avevano già attaccato con successo le flotte e le città spagnole, ma questa volta le cose erano molto diverse. Non si trattava dell’ennesimo saccheggio, adesso l’Inghilterra voleva occupare stabilmente una importante colonia spagnola. L’ambizioso “Western Design” di Oliver Cromwell era in marcia.

Nel Gennaio 1655 la flotta arrivò a Barbados, all’epoca la più importante colonia inglese nei Caraibi. Dopo una breve sosta per imbarcare provviste e nuove truppe, fra cui molti “indentured servants” che volevano fuggire dall’isola, la flotta mosse verso Hispaniola. Qui l’esercito sbarcò per attaccare da terra la città di Santo Domingo. L’attacco fu mal preparato e la reazione degli spagnoli fu forte ed efficace. In particolare i lanceri a cavallo spagnoli si distinsero per coraggio ed efficacia.. Le truppe inglesi si ritirarono in disordine e dovettero rimbarcarsi in fretta, solo l’assenza di una flotta spagnola in zona evitò un disastro totale.

Temendo l’ira di Cromwell, Penn non voleva tornare a mani vuote e nel Maggio 1655 decise di attaccare la grande isola spagnola di Giamaica, all’epoca povera, poco popolata e virtualmente indifesa. In Giamaica le difese erano deboli e comunque l’attacco anfibio fu preparato con cura. Presto gli spagnoli furono sconfitti e l’isola occupata. Questo successo non calmò comunque l’ira di Cromwell per il disastro di Hispaniola, al punto che cadde malato ed al loro ritorno in Patria spedì Penn e Venable in catene nella Torre di Londra.

L’Alba dell’ Impero   C. Sheldon 1907

E, per quanto ne sappiamo, proprio Giamaica, nel 1655,  il rum fu distribuito per la prima volta a bordo delle navi della Marina Militare Inglese. La cosa avvenne in modo non ufficiale e non abbiamo molti dettagli, ma sappiamo che il rum venne distribuito agli equipaggi al posto della abituale razione quotidiana di birra. Probabilmente la scelta fu imposta dalle circostanze. Probabilmente la birra portata dall’Inghilterra era terminata o si era deteriorata e a Barbados il rum era abbondante e a buon mercato.

Fino ad allora infatti, i marinai inglesi in navigazione avevano abitualmente a disposizione due bevande: l’acqua e la birra. Ambedue erano tenute in botti di legno immagazzinate nelle stive delle navi, un ambiente sporco e insalubre. Spesso l’acqua non era limpida fin dall’origine e comunque si deteriorava sempre rapidamente e diventava imbevibile in poche settimane. La birra era potabile più a lungo, ma diventava amara in poche settimane. E le cose peggiorarono con i lunghi viaggi oceanici. “ Niente dispiace di più ai marinai della birra amara” si lamentava Lord Howard nel 1588

Quando le navi erano all’estero, i capitani potevano comprare vino e qualche volta anche brandy. Ma erano bevande costose e spesso prodotte da paesi nemici. A Barbados ed in tutte le Indie Occidentali, invece, il rum costava poco, era disponibile in grandi quantità e prodotto da sudditi inglesi. Inoltre il rum occupava meno spazio della birra e soprattutto non si deteriorava, anzi mescolato all’acqua la rendeva bevibile per lunghi periodi.

Così il rum entrò a far parte delle abituali razioni dei marinai (e dei soldati) inglesi nelle Indie Occidentali. Ma per decenni la sua diffusione dipese dalle decisioni personali dei capitani , senza nessuna regolamentazione ufficiale valida per tutta la Marina.

Solo molto più tardi, nel 1731, le Regulations and Instructions Relating to His Majesty’s Service at Sea stabilirono che “… nelle navi impegnate in viaggi all’estero, deve essere osservato che una pinta di vino o mezza pinta di brandy, rum o arrack, può essere distribuita al posto di un gallone di birra.”

Il Navy Rum era nato.

RUM E IMPERI FRA ‘600 E ‘700

Alla metà del ‘600, partendo da Barbados e Martinica, il rum comincia la sua lunga e vittoriosa marcia verso la conquista del mondo. Un mondo che era molto diverso da quello di oggi. Lo zucchero era la fonte di enormi ricchezze e la causa di guerre sanguinose e, lasciando da parte il Brasile portoghese nel suo relativo isolamento, il cuore della produzione dello zucchero era nei Caraibi. In quegli anni e per ancora circa un secolo, tre grandi Imperi coloniali si dividevano il grosso delle Americhe.

Semplificando un po’, l’Impero Spagnolo dominava l’America Centrale e Meridionale e le grandi isole di Cuba, Portorico e parte di Santo Domingo ( oggi Repubblica Domenicana). L’Impero Francese teneva sotto stretto controllo Martinica, Guadalupa, altre isole minori e parte di Santo Domingo (oggi Haiti). L’Impero Inglese (più tardi Britannico) occupava da tempo Barbados ed altre piccole isole e nel 1655 era riuscito a strappare la grande isola di Giamaica agli spagnoli. Nei Caraibi la canna da zucchero cresce ovunque e quindi il rum poteva essere prodotto ovunque. Ma le scelte dei tre Paesi europei furono completamente differenti  (avviso ai lettori: noi usiamo la parola rum, ma il nostro distillato era chiamato con molti nomi diversi).

La Spagna era un grande produttore di vino e brandy. Una parte significativa della produzione era esportata nell’Impero spagnolo d’America e nei Paesi dell’Europa settentrionale, compresa l’Inghilterra. I produttori spagnoli di vino e di brandy vedevano il rum ed ogni altra bevanda alcolica prodotta nelle Colonie come una minaccia ai loro interessi e fecero pressione sul governo per scoraggiare ogni produzione locale che potesse fare concorrenza al lor vino ed al loro brandy. Nel corso degli anni il governo spagnolo vietò la coltivazione della vite, la vendita di bevande alcoliche ai nativi, la vendita di bevande alcoliche locali nelle città, la distillazione di alcol in genere eccetera, con pene brutali per i trasgressori. Queste leggi non erano sempre rispettate, anzi sappiamo di diffuse trasgressioni, ma comunque danneggiarono pesantemente lo sviluppo di una seria industria del rum. A questo dobbiamo aggiungere il declino della produzione di zucchero in tutta l’America spagnola alla fine del ‘600 (non ancora ben spiegato dagli storici) e il fatto che in genere gli spagnoli non amavano molto i distillati, preferendo di gran lunga il vino. Come risultato di tutti questi fattori la limitata fabbricazione (clandestina) di rum fu a lungo assorbita dal mercato locale ed era generalmente di bassa qualità.

Anche la Francia produceva ed esportava grandi quantità di vino e di brandy. Anche i produttori francesi temevano la concorrenza del rum che si poteva produrre con facilità ed a basso costo nelle grandi piantagioni di zucchero dei Caraibi francesi e fecero pressioni sul loro governo. Ma la scelta del governo francese fu parzialmente diversa. Sempre semplificando,  la produzione e l’esportazione di rum fu vietata anche dal governo francese ed in Francia il divieto fu fatto rispettare, riservando il grande mercato interno al vino ed al brandy. Nelle colonie dei Caraibi invece fu di fatto tollerata assieme all’esportazione in Canada, allora colonia francese, in Africa dove veniva scambiato con gli schiavi e in tutti i paesi stranieri. In particolare, nel ‘700 un po’ di rum e molta melassa venivano esportati di contrabbando nelle colonie inglesi dell’America Settentrionale. Nelle colonie francesi l’industria dello zucchero era fiorente  ed i francesi erano più affezionati degli spagnoli alle bevande forti, quindi il rum francese fu sempre prodotto in quantità significative ed era di qualità relativamente migliore.

In Inghilterra invece la vite non cresceva e quindi non era possibile produrre vino e brandy. In compenso gli inglesi bevevano molto, forse più di ogni altro popolo. E da sempre importavano il vino e poi anche il brandy in grande quantità, soprattutto dalla Francia e dalla Spagna. E li pagavano cari, un flusso continuo di ricchezza lasciava l’Inghilterra. Per secoli questa situazione non era stata considerata un problema o comunque non c’erano soluzioni. Ma a metà del ‘600 le cose erano cambiate. L’Inghilterra (poi Gran  Bretagna) era ormai una delle grandi potenze e la sua politica estera perseguiva due obiettivi fondamentali: rafforzare il suo impero commerciale e coloniale nel mondo ed al tempo stesso mantenere l’equilibrio delle potenze in Europa per evitare che una singola potenza potesse dominare il continente (e forse si può dire che questo approccio è alla base della politica estera britannica ancora oggi). Entrambi questi obiettivi portarono l’Inghilterra/Gran Bretagna a scontrarsi con la Francia, l’unico vero concorrente nella lotta per la supremazia, in Europa e nel mondo. Diventò quindi intollerabile finanziare il nemico comprando a caro prezzo il suo vino ed il suo brandy.

Un soluzione per il vino fu trovata con accordi commerciali con il Portogallo, anche grazie al gusto degli Inglesi per il vino dolce. E contro il brandy il governo inglese schierò il rum. Come vedfremo nei prossimi post, le autorità  incoraggiarono in tutti i modi la produzione e l’esportazione del rum prodotto nelle colonie dei Caraibi. I consumatori furono spinti a bere rum e si abituarono a consumarlo massicciamente tanto che l’Impero Britannico diventò presto il primo produttore e consumatore al mondo. Il rum penetrò così profondamente nella vita quotidiana del popolo che presto fu considerato ovunque come qualcosa di tipicamente Britannico ed ancora oggi è la parola inglese rum (di incerta origine) che definisce il nostro distillato in quasi tutto il mondo