Il German Rum Festival giunge alla nona edizione

Il Festival del Rum di Berlino (conosciuto anche come GRF, German Rum Festival) organizzato da Dirk Becker giunge alla sua nona edizione. L’evento, da anni uno dei principali punti di aggregazione per la rum community internazionale e punto di riferimento per tutti gli appassionati del mercato tedesco, avrà luogo i prossimi 31 agosto e 1 settembre.

Singolare per quest’anno la scelta delle date: il GRF fin dalla sua nascita si era tenuto nel mese di ottobre. Questa scelta però lo aveva spesso portato molto a ridosso con il festival del rum di Londra (nel 2017 addirittura si tennero negli stessi giorni), ragione che ha probabilmente spinto Becker a rilocarlo alla fine dell’estate.

Riportiamo il testo di presentazione dell’edizione 2019: “During the 9th GERMAN RUM FESTIVAL you can expect many exhibitors from all over the world with countless rum varieties in all colours. On over 5.000 m² we expect 5.000 visitors, more than 70 exhibitors and 140 different brands. In addition to the stands where exhibitors, producers and brand owners invite you to taste and exchange opinions, the cigar lounge also offers the matching cigar with rum or you can visit one of our popular tastings! The GERMAN RUM AWARDS are also awarded during the GERMAN RUM FESTIVAL. The highly desired awards in currently 16 categories not only serve as decoration but are also used by rum lovers all over the world as a guide in the almost endless jungle of rum.”

Per chi volesse saperne di più http://rumfest-berlin.com

Claudio Pierini

Pernod Ricard: scalata in vista?

Pernod Ricard è una delle più importanti multinazionali attive nel settore delle bevande alcoliche, nata nel 1975 dall’unione delle due aziende francesi Pernod e Ricard. Il suo portafoglio comprende centinaia di prodotti, ed è nota agli appassionati di rum per essere la proprietaria dei marchi Havana Club e Malibu, e a tutti gli italiani per l’amaro Ramazzotti. Nonostante la grande crescita che l’ha portata negli ultimi decenni ad essere uno dei leader mondiali del settore, la società ha mantenuto una struttura di governance “antiquata”, essendo ancora diretta da una gestione familiare: Alexander Ricard è infatti chairman e CEO, e la famiglia Ricard è tuttora l’azionista di maggioranza relativa, situazione alquanto peculiare per un’azienda di tale importanza e dimensione.

Eppure, questa peculiarità potrebbe finire: lo scorso 12 dicembre il fondo Elliott Management (noto a tutti i milanisti per essere il proprietario del Milan) ha annunciato di possedere una partecipazione superiore al 2,5% in Pernod Ricard. Certo, la partecipazione è ancora minima, ma Elliott non è certo un fondo che ha fama di accontentarsi di un 2,5%. E infatti (come riporta il settimanale Affari&Finanza dello scorso 11 febbraio) poco dopo l’acquisizione della quota di capitale Elliott ha diramato una nota in cui, a proposito di Pernod Ricard, parla di un “contesto caratterizzato da una corporate governance inadeguata e da una mancanza di prospettive esterne che ha contribuito ad una sottoperformance” per poi sottolineare come “miglioramenti in seno alla governance e a livello operativo potrebbero permettere a Pernod di sbloccare gran parte del valore della società”. In poche parole, uno schiaffo totale all’operato del management di Pernod Ricard.

La suddetta nota di Elliott termina auspicando la cessione di marchi non più strategici e una possibile fusione con un’altra grande azienda di alcolici. Secondo molto osservatori è proprio qui che si deve cercare la ratio delle azioni di Elliott: il fondo non vorrebbe infatti scalare Pernod Ricard e prenderne il controllo, ma favorire uno “spezzatino” tra due altri grandi player del mercato, il leader mondiale Diageo (proprietaria fra gli altri dei rum Captain Morgan, Zacapa, Cacique e Pampero) e l’azienda francese Lvmh.

Intanto, in una conferenza stampa lo scorso giovedì 7 febbraio, Alexander Ricard ha annnciato che il fatturato dell’azienda è cresciuto del 7,8%, arrivando a raggiungere 5,1 miliardi di Euro. Una cifra che fa gola a molti, e che legittima le ambizioni di Elliott.

Claudio Pierini

Il Rum e la Febbre Spagnola

Al giorno d’oggi, il mondo del commercio di rum è dominato dal marketing. Le aziende fanno a gara per elaborare il nome più adatto, lo storytelling più efficace, l’etichetta più accattivante, lo slogan perfetto, il packaging vincente e il tipo di bottiglia più adeguato. È una guerra senza quartiere per il dominio del mercato, in cui le aziende si danno battaglia senza esclusione di colpi.

Eppure, una volta le cose non erano così, si badava più alla sostanza e non si poneva tutta questa enfasi sul marketing… No, scherzavo, anche una volta le cose erano esattamente così, basta guardare questa pubblicità del Rum Bacardi, pubblicata il 16 ottobre 1918 sul Brooklin Daily Eagle, negli Stati Uniti (foto fornitaci da Eric Witz di MIT Press). Quasi un secolo fa. Traducendo letteralmente: “Il Rum Bacardi è caldamente consigliato dai più importanti medici come un efficace trattamento contro la Febbre Spagnola”.

Ora, poiché stiamo parlando di una delle pandemie più terribili della storia dell’umanità, che fra il 1918 e il 1920 ha ucciso oltre 50 milioni di persone, viene lecito dubitare che questo slogan promozionale – seppur sicuramente efficace – possa aver avuto alcunché di veritiero.

Claudio Pierini

Le Lettere di William Howe

Il Generale William Howe è stato un ufficiale inglese che ha militato nella Guerra dei Sette Anni e nella Guerra di Indipendenza Americana, in cui è stato anche Comandante in Capo dell’esercito britannico. Il suo nome è legato alla sanguinosa vittoria britannica sui ribelli americani nella Battaglia di Bunker Hill, il 17 giugno 1775.

Durante la Guerra di Indipendenza Americana il rum ha giocato un ruolo da protagonista, sia negli anni immediatamente antecedenti, sia durante lo svolgersi del conflitto (per chi volesse approfondire, ho scritto un libro sull’argomento: “American Rum: A Short History of Rum in Early America”). Fra le molte testimonianze di questo importante ruolo, una lettera del 1777 firmata dal Generale Howe (la foto che trovate è stata scattata da Matt Pietrek, del blog CocktailWonk) in cui attesta di aver ricevuto per il suo esercito 1097 grosse botti (“puncheons”) di rum giamaicano, pari a circa 118.000 galloni (446.678 litri).

Claudio Pierini

Il Congreso del Ron diventa la International Rum Conference

Grandi novità dal mondo del rum. Il Congreso del Ron di Madrid, organizzato da Javier Herrera e uno dei principali luoghi di aggregazione della rum community per la qualità delle sue conferenze, cambia location. Lascia Madrid, lascia la Spagna, e si trasferisce negli Stati Uniti, a Coral Gables, Florida.

Ecco il testo dell’annuncio con cui Javier Herrera ci informa di questa importante novità:

We are happy to announce that the Congreso del Ron – Madrid will now be named the International Rum Conference. We are also thrilled to announce that the newly named “VIII International Rum Conference” will be moving across the pond to the United States and will be directed by industry veterans Javier Herrera and Jorge Galbis. We would like to take a moment to recognize and thank everyone for all their support over the passed 7 years in making our event a leader in the rum industry.

As we embark on this exciting relocation, the teams in Europe and the US will be working hand in hand to ensure an exceptional trade show experience . The NEW event dates are September 25-28, 2019 and will take place the spectacular Biltmore Hotel in Coral Gables, Florida. The event will consist of 2 days of industry leading educational conferences and 2 days of Rum Festival. The Educational Conferences will include simultaneous translations (if required) and will be limited to 160 spots, thus make sure to register early. The 2 days of Rum Festival will be open to the trade and rum enthusiast to try and discover exciting different types of rums from around the world. Additionally, we have worked with the iconic Biltmore Hotel to secure exceptional preferential rates for exhibitors and attendees to the International Rum Conference.

Very shortly, you will be able to access all the details for the International Rum Conference at www.internationalrumconference.com

International Rum Conference

September 25-28, 2019                   

Biltmore Hotel – Coral Gables, Florida

Il 2019 si preannuncia quindi un anno pieno di interessanti novità per tutti gli appassionati di rum.

Claudio Pierini

Benjamin Franklin: un’ode al punch

Benjamin Franklin. Intellettuale, politico, giornalista, patriota, scrittore, scienziato, parte integrante dell’immaginario collettivo per i suoi esperimenti con i fulmini e gli aquiloni. Insomma, uno dei più grandi e conosciuti geni dell’era moderna.

Ciò che non tutti sanno però è che, fra l’enorme mole delle sue opere in cui ha trattato quasi ogni aspetto dello scibile umano, egli si è occupato anche di miscelazione. Ha infatti dedicato un’ode a uno dei primi cocktail a base di rum, il punch.

Ecco il testo dell’ode:

Boy, bring a bowl of China here,

Fill it with water cool and clear:

Decanter with Jamaica right

And spoon of silver, clean and bright.

Sugar twice-fin’d in piece cut,

Knife, sieve and glass in order put,

Bring forth the fragrant fruit and then,

We’re happy till the clock strikes ten.”

Che tradotto in italiano (spero che scuserete la mancanza di stile poetico nella mia traduzione) significa:

“Ragazzo, porta qui una grande zuppiera cinese,

Riempila con acqua fresca e chiara:

Mettici una buona dose di rum

E un cucchiaio d’argento, pulito e luminoso.

Mettici zucchero tagliato a pezzi,

Porta coltello, colino e bicchieri,

Porta avanti il frutto profumato e poi,

Saremo felici finché l’orologio non segnerà le dieci.”

Claudio Pierini

ESERCITO E RUM

Negli articoli precedenti abbiamo raccontato di come il rum abbia conquistato il cuore (ed il mercato) degli inglesi nel Settecento, a seguito di una delle più grandi e vittoriose campagne di marketing mai state effettuate. Abbiamo visto come la penetrazione del rum nel mercato inglese sia stata il risultato di un organizzato sforzo lobbystico portato avanti dai grandi piantatori delle Indie Occidentali su Governo, Parlamento e Marina Militare e con l’aiuto del mondo della scienza e della moda. Secondo S. W. Mintz, nel suo libro “Sweetness and Power”, questo intervento dello Stato ha rappresentato un vero esempio di “strisciante socialismo,  molto necessario per una industria nascente”.

Per completare la cornice di questo sforzo pubblico volto a promuovere il consumo di rum, ora vogliamo parlare della diffusione del Rum nell’esercito britannico nel Settecento e all’inizio dell’Ottocento, quello che R.N. Buckley ha definito nel suo libro “The British Army in the West Indies” come “alcolismo sponsorizzato dallo Stato”.

Tradizionalmente i soldati inglesi avevano birra – e occasionalmente del vino – all’interno della loro razione giornaliera. L’esercito non aveva il problema che affliggeva la Marina di mantenere l’acqua e la birra potabili durante lunghi viaggi oceanici, pertanto non si poneva la necessità di distribuire distillati ai soldati.

Una distribuzione massiva di Rum ai soldati iniziò soltanto intorno alla metà del Settecento nelle Indie Occidentali e nel Nord America e aumentò rapidamente nel corso del secolo. Tuttavia, durante le ostilità che videro gli Inglesi apporsi ai Francesi e ai Nativi americani (all’interno del conflitto noto come “Guerra dei Sette Anni”, fra il 1756 e il 1763), il rum veniva distribuito solo in occasioni speciali, ad esempio quando gli uomini dovevano affrontare il maltempo e/o la stanchezza, ma non era prevista alcuna dose giornaliera. Solo durante la Rivoluzione americana (1775 – 1783) sappiamo con certezza di una razione quotidiana di rum: un gill al giorno, che equivale a un gallone al mese (quasi 4 litri).

Ma in America il rum era economico e facile da acquistare in grandi quantità. Locandieri con licenza, senza licenza, mogli di soldati, piantatori, e spesso gli stessi ufficiali vendevano rum economico ai soldati. E i soldati ne compravano e bevevano in enormi quantità, con una bramosia irrefrenabile. Ne bevevano in quantità tali che probabilmente passavano la maggior parte del tempo in uno stato di quasi ubriachezza.

Ma perché? In generale, nel Settecento, anche in patria i Britannici bevevano moltissimo, vedi la cosiddetta “Gin Craze“. Inoltre, la vita di un soldato era allo stesso tempo brutale e noiosa. Nelle Indie Occidentali, molte e dolorose malattie, spesso mortali, flagellavano i soldati, più delle armi nemiche. A brevi momenti in battaglia, con grandi fatiche e tanto sangue, seguivano lunghi periodi di noia e inattività con condizioni di vita dure e disciplina rigida. Ubriacarsi era spesso l’unica via di fuga possibile da questa tremenda routine. Il vino e il brandy erano costosi, troppo per i soldati semplici, mentre il rum era economico e disponibile in grande quantità. Il rum, quindi, era la bevanda più consumata, l’unica che poteva garantire un po’ di evasione alle masse dei soldati.

L’ubriachezza peggiorava la già scarsa salute dei soldati, con conseguenze negative sull’efficienza dell’esercito. Inoltre, minava la disciplina e metteva a dura prova le relazioni con le popolazioni civili, con un malcontento diffuso, fustigazioni e corti marziali. Molti ufficiali e chirurghi militari erano ben consapevoli dei pericoli di questa situazione, ma non erano in grado di cambiarla.

Il fatto era che i soldati volevano bere. O meglio, volevano ubriacarsi nel modo più rapido ed economico possibile. Pertanto, distribuire rum era il modo più semplice ed efficace per ottenere in cambio fedeltà e ubbidienza. Gli ufficiali sapevano che tentare di tagliare o anche solo limitare le razioni di rum poteva portare subbugli ed anche aperti ammutinamenti. Inoltre, l’alcol aveva radici profonde nella cultura militare.

L’opinione della medicina ufficiale era anch’essa ambivalente: molti medici condannavano l’abuso di alcol, mentre altri lo ritenevano utile per preservare la salute degli uomini sia in condizioni di clima freddo o caldo sia “come precauzione contro l’aria nociva”. Infine, quando non erano in servizio, le truppe di solito non vivevano in caserme, ma erano alloggiate in taverne e case di civili dove un vero controllo era impossibile, e il rum facilmente reperibile.

Quindi, l’ubriachezza dei soldati era comune nell’esercito britannico fino all’Ottocento inoltrato. Ma che tipo di rum bevevano, però? Vediamo.

John Bell aveva servito come chirurgo militare in Giamaica. Rientrato in Inghilterra, nel 1791 pubblica “An Inquiry into the causes which produce, and the means of preventing diseases among British Officers, Soldiers, and others in the West Indies. Containing observations on the action of spirituous liquors on the Human body” (traducibile con “Un’inchiesta nelle cause che producono e nei mezzi che prevengono malattie fra ufficiali inglesi, soldati ed altri nelle Indie Occidentali. Contiene osservazioni sull’azione dei liquori spiritosi”). Come molti, Bell era scioccato dal tasso di mortalità “in alcuni reggimenti i due terzi, in altri quasi la metà degli uomini, morirono o furono resi inabili al servizio prima che fosse passato un anno, o al massimo un anno e mezzo, dal loro arrivo nell’isola della Giamaica”. Nelle Indie occidentali le malattie – le  “febbri “- uccidevano molti più soldati delle armi dei nemici.

Come molti medici della sua epoca, Bell sottovalutava il ruolo delle malattie infettive e pensava che il clima, la dieta e lo stile di vita fossero i fattori principali che garantivano una buona salute. Secondo lui, l’eccessivo consumo quotidiano di rum era la causa principale delle malattie e dell’alta mortalità tra i soldati. La razione giornaliera era mezza pinta (quasi 0,3 litri) e di solito era diluita con acqua, non sappiamo in quale rapporto. Ma i soldati compravano anche a basso prezzo molto rum non diluito, “grandi quantità e di qualità tra le più esecrabili”, da venditori privati.

Bell non approvava l’aggiunta di acqua al rum. “Con questo modo di usarlo, il rum è forse più dannoso per il corpo di qualsiasi altra bevanda, perché esercita un’impressione semplice e non raggruppata, che diventa più debole con una frequente ripetizione della sua causa: e quindi, dopo qualche tempo, un aumento di la quantità di spirito diventa necessaria”. In altre parole, la razione giornaliera del rum diluito dall’esercito spianava la strada all’alcolismo.

Ma non basta. La distillazione è un’arte, ma assai pericolosa, anche oggi. Due secoli fa, nelle Indie Occidentali, piantatori e distillatori producevano per i soldati un tipo di rum che doveva essere solo forte ed economico. Veniva fermentato e distillato molto rapidamente, risparmiando sui costi, senza alcun invecchiamento o rispetto per la qualità. Per quanto ne sappiamo, le teste e le code non venivano rimosse e con ogni probabilità all’interno del rum c’era metanolo e tanti congeneri “cattivi”. E probabilmente anche polvere di piombo. Sì, perché all’epoca il piombo ed il peltro venivano largamente usati nei calderoni, tubi, alambicchi ecc. usati per la produzione di zucchero e di rum.

Sappiamo di soldati che morivano subito dopo aver bevuto, o che cadevano a terra in uno stato di torpore, di giovani robusti che deperivano rapidamente. Di dolori lancinanti, organi ulcerati, malattie …. Le notizie riportate dai chirurghi militari dell’epoca e le prime autopsie scientifiche ci raccontano una storia terrificante.

Per riassumere, sembra che il rum dei soldati non era più solo il “liquore caldo, infernale e terribile” descritto da Richard Ligon negli anni Cinquanta del Seicento, ma era spesso una vera bevanda tossica.

Marco Pierini

PUNCH !

Come abbiamo visto nei precedenti articoli, nel corso del ’700 il rum penetrò profondamente nella cultura del popolo britannico. Una delle ragioni del suo successo fu la grande diffusione di una bevanda che, come il rum, venne presto considerata qualcosa di tipicamente British, il Punch.

Per quanto ne so la parola compare per la prima volta in una lettera scritta da un soldato della Compagnia delle Indie ad un factor , cioè un rappresentante commerciale, della stessa nel 1632. Poco anni dopo, in altre lettere e resoconti di viaggio in Oriente, sempre negli ambienti della Compagnia, compare la descrizione degli ingredienti di base con cui era fatto: acqua, distillato, agrumi, zucchero e spezie. E questa è rimasta sempre la composizione fondamentale del Punch. I pareri sono invece discordi su chi lo abbia realmente inventato. Secondo alcuni era una bevanda tradizionale indiana, che poi gli inglesi hanno fatto propria. Altri pensano invece che sia stata inventata da qualche factor della Compagnia delle Indie Orientali per sopportare meglio la noia, la solitudine, la incombente presenza di un mondo grande ed estraneo. Uno degli autori che più approfonditamente si è occupato della materia, formula l’ipotesi che sia stato inventato invece dai marinai britannici in Oriente.

Comunque, per fare il Punch, in India usavano l’Arrak, un distillato proveniente da varie materie prime, fra cui la canna da zucchero. In Gran Bretagna all’inizio utilizzarono il Brandy, ma presto il Rum divenne il distillato più usato nella preparazione del Punch, forse perché fin da quei tempi capirono che il rum era ottimo in ogni tipo di miscelazione.

Il Punch è una costante della vita sociale britannica del ‘700, tanto che la letteratura dell’epoca ne è piena. Per esempio, Henry Fielding fa dire al cappellano di una prigione “Se proprio dobbiamo bere, allora beviamo una Coppa di Punch – un Liquore che preferisco, dato che nelle Scritture non si parla mai contro di lu “ E il famoso giornalista Ned Ward sostiene che il Punch “ se composto di buoni ingredienti, e preparato con cura, supera di gran lunga tutte le bevande lisce dell’universo”. Era consumato in grande quantità, sia freddo che caldo, con agrumi, spezie e quant’altro accendesse la fantasia di chi lo preparava. Veniva bevuto a balli e matrimoni e in ogni genere di festa o ritrovo mondano. A questi eventi socialmente rispettabili partecipavano anche le donne che si abituarono quindi a bere il Punch ed il Rum.

Poi c’era un altro famoso tipo di evento sociale. Spesso un gruppo di amici, qualche volta facenti parte di un Club, si riuniva per lunghe notti di baldoria attorno al Flowing Bowl (che tradotto un po’ alla buona potrebbe essere Coppa dell’Abbondanza), come era chiamato dai suoi devoti l’apposito contenitore in cui veniva preparato il Punch. La Coppa troneggiava generalmente al centro del tavolo e da essa i convitati prendevano il Punch con uno o più cucchiai per versarlo nei loro bicchieri. Dopo un po’, quando tutti erano ormai alticci, spesso qualche buontempone beveva il Punch rimasto direttamente dalla Coppa, usandola come una specie di grossa tazza. A queste feste partecipavano solo uomini adulti e benestanti, qualche volta con la compagnia di alcune signore non proprio “perbene”, mentre le donne rispettabili ne erano escluse. Questo tipo di riunione mondana incentrata sul Punch fu immortalata dal grande pittore e incisore satirico William Hogarth nella sua famosa opera “A Midnight Modern Conversation” che illustra questo articolo.

Il Punch era caro. Nella Gran Bretagna del ‘700 gli agrumi erano difficili da trovare, spesso non erano buoni e comunque erano sempre costosi. Altrettanto costose erano le spezie, fra cui primeggiava la noce moscata. Infine lo stesso recipiente, il Bowl, diventò sempre più elaborato, spesso realizzato da bravi artigiani ed arricchito con decorazioni e metalli preziosi. Credo anche che uno dei modi di berlo, quelle lunghe nottate passate in compagnia attorno ad un tavolo a fumare, bere e parlare, non fosse alla portata di chi doveva alzarsi la mattina dopo per andare a lavorare. Insomma, i ceti inferiori non potevano permetterselo ed anche per questo il Punch divenne socialmente rispettabile

Nacque una vera e propria cultura del Punch e il rum, che del Punch era l’ingrediente fondamentale, cominciò a brillare di luce riflessa: perse la sua cattiva fama di distillato a buon mercato e di infima qualità, buono solo per soldati, marinai e altra gente di basso rango e fece il suo ingresso nella buona società britannica.

Marco Pierini

RUM E SALUTE

Uno degli errori più diffusi fra i contemporanei è la profonda e spesso inconsapevole convinzione che il mondo sia cominciato oggi, o al massimo ieri. Cioè, la convinzione che molti dei fenomeni che osserviamo nel nostro mondo siano assolutamente nuovi, mai visti prima. Questo accade per esempio con la moderna ossessione per il benessere, la cura del corpo, la salute. Ci sembra un fenomeno nuovo, frutto della società moderna, ricca ed affluente. Un fenomeno, molti pensano,  sconosciuto in passato, quando la società era più povera e rude, concentrata sulle cose essenziali della vita. Bene, non è vero.

La Gran Bretagna del ‘700 era ricca e potente. Politicamente ed economicamente nessuno la minacciava seriamente. E la buona società britannica era ossessionata dalla ricerca della salute, del corpo e della mente. La moderna medicina scientifica era solo all’inizio e per difendere la salute e migliorare il benessere si studiavano con impegno l’aria, il clima, il cibo, le bevande, le abitudini ecc. E’ questo per esempio il secolo in cui si diffondono le cure termali e l’uso dei bagni di mare per fini terapeutici. E’ anche il secolo in cui la fiducia nelle virtù salutari degli Spiriti comincia a vacillare.

I primi distillatori italiani del Duecento, dettero al loro liquore il nome di Aqua Vitae, acqua della vita, perché erano convinti che fosse una panacea per molte malattie. Questa diffusa convinzione aveva una solida base reale. So poco di storia della medicina,  ma sicuramente anche se all’epoca non si sapeva dell’esistenza dei microbi, le proprietà antisettiche dell’alcol erano evidenti. In un mondo pieno di microbi e spesso ignaro delle più elementari regole di igiene, è ragionevole pensare che i malati a cui era somministrato alcol ne avessero dei benefici. Da allora in tutta Europa e poi nelle colonie americane, rimase diffusa per secoli la convinzione che le bevande distillate fossero benefiche per la salute.

Nel ‘700 la nascita di una nuova e scientifica medicina cominciò a minare la fiducia nelle proprietà salutari dei distillati ed alcuni medici misero in evidenza i pericoli di un loro consumo eccessivo. Anche i movimenti per la temperanza muovevano i loro primi passi. Per stimolare il consumo di rum, era quindi necessario presentarlo come una bevanda salutare, che non nuoceva alla salute, anzi che faceva bene. Ancora meglio se si riusciva a scaricare il peso della nuova diffidenza verso gli Spiriti sui suoi concorrenti. Che nella gran Bretagna dell’epoca erano soprattutto due: il brandy fra le classi superiori e il gin fra quelle inferiori. Ed ambedue vennero attaccati.

Già nel 1690 un Dalby Thomas scrisse che il rum è “ più salutare per l’organismo [ del brandy] come si osserva dalla lunga vita degli abitanti delle colonie che sono grandi bevitori di Rum … e invece dalla breve vita di quelli che in patria sono grandi bevitori di Brandy”.  E nel 1770 quando le importazioni di rum avevano ormai superato quelle di brandy il Dottor Robert Dossie scrive: “Bere Rum con moderazione è più salutare, e berlo in eccesso è molto meno dannoso, che bere Brandy” Seguono pagine e pagine di prove mediche, dissertazioni chimiche, esperimenti “scientifici” ecc.

Il gin era un bersaglio più facile. Per produrlo si consumava il grano, prezioso per fare il pane, e la sua vasta diffusione fra i poveri era un grande problema sociale. Tanto che verso la metà del secolo il Parlamento intervenne con proibizioni e limiti che ridussero grandemente la produzione ed il consumo. E per ribadire la superiorità del rum un anonimo autore scrive nel 1760:
“Dalla proibizione del Gin, il consumo di Rum è molto cresciuto, e tuttavia la Ubriachezza Cronica con tutti I suoi spaventosi Effetti, è interamente cessata” e “ Il Gin è molto più dannoso per il Corpo Umano che lo Spirito dello Zucchero”

Poi il nostro autore prescrive il rum per l’inappetenza ed altre malattie affermando che il rum è indicato per “gli appetiti deboli e svogliati e per la digestione, e per molti disturbi debilitanti” e, dopo lunghe raccomandazioni di autorevoli medici, conclude: “Il Gin è uno Spirito troppo forte, acre e brucia troppo per l’Uso interno, ma il Rum è uno Spirito così lieve, balsamico e benigno che, se appropriatamente usato e diluito, può essere grandemente utile sia per il Sollievo che per l’Intrattenimento della Natura Umana”

Così, con l’aiuto dei suoi amici e delle loro argomentazioni “scientifiche”, il rum cominciò a conquistare le menti e le gole del popolo britannico.

Marco Pierini

RUM contro BRANDY

Fra il 1689 (inizio della cosiddetta Guerra di Re Guglielmo) e il 1815 (sconfitta definitiva della Francia napoleonica) l’Inghilterra/Gran Bretagna e la Francia si combattono in una lunga serie di guerre. Al di là delle singole cause di ciascuna di esse,  secondo alcuni storici queste guerre sono solo fasi di un unico lungo conflitto per la supremazia in Europa e nel Mondo.

Appare quindi sempre più intollerabile per il governo britannico finanziare il nemico attraverso la massiccia importazione di vino e di brandy, che venivano acquistati soprattutto proprio  in Francia e nella sua alleata Spagna.

Per il vino si trova presto una alternativa. Vengono stretti accordi commerciali con il Portogallo e il vino portoghese sostituisce in gran parte quello francese, grazie anche alla passione degli inglesi per i vini dolci. Ma il brandy è un osso duro. Le classi dirigenti inglesi lo amano alla follia e non vogliono farne a meno.

Durante una delle guerre dell’epoca, l’esercito inglese rimane a lungo nei Paesi Bassi e si dice che i soldati inglesi in quella occasione imparano a bere e ad apprezzare il gin, un distillato locale inventato da poco. Tornati in patria continuano a berlo e presto in Inghilterra nascono numerose distillerie. La storia del gin è molto interessante, e magari prima o poi ne parleremo come merita. Per adesso però ci basta sapere che in pochi anni l’Inghilterra diventa una grande produttore e consumatore di gin. Ma il gin rimane una bevanda per i poveri, che ne bevano troppo con drammatiche conseguenze per la loro salute e per l’ordine sociale. E poi per fare il gin ci vuole il grano, indispensabile per fare il pane cioè l’alimento base delle classi inferiori. Spinto dall’enorme diffusione del gin e dell’ubriachezza fra le classi inferiori e dal pericolo di carestie per la scarsità di grano, il Parlamento interviene con varie leggi e regole che limitano fortemente la produzione ed il consumo di gin che rimane una bevanda per i ceti inferiori senza competere con il brandy.

Poi qualcuno scopre il rum. Il rum è interamente prodotto nelle colonie inglesi, quindi la ricchezza spesa per comprarlo resta in casa. Per farlo non si consuma grano prezioso, ma i sottoprodotti della produzione dello zucchero, quasi inutili, a basso prezzo e disponibili in enormi quantità. E’ quindi il distillato perfetto per sostituire il brandy

All’inizio del ‘700 in patria i consumi di rum sono bassissimi e gli inglesi non lo conoscono ancora bene. Tanto che Daniel Defoe nel suo “Moll Flanders” pubblicato a Londra nel 1722, raccontando un episodio della vita della sua eroina in America, si sente in dover di spiegare ai suoi lettori inglesi che cosa è il rum: “Chiamai comunque una cameriera e gli feci portare un bicchierino di rum (che è il liquore in uso da quelle parti), perché era sul punto di svenire.”

Inoltre le classi alte non lo considerano adatto a loro: è grezzo, poco fine e costa troppo poco. Perché possa sostituire il brandy è quindi necessario farlo conoscere, abituare il popolo a consumarlo, ma contemporaneamente anche elevare la sua immagine e il suo costo.

Non sembra un’impresa facile, ma i piantatori delle Indie Occidentali, il Parlamento, i Governi e i funzionari pubblici in genere, uniscono i loro sforzi in quella che oggi chiameremmo una massiccia e aggressiva campagna di promozione del rum.

E ce la fanno. Ecco alcuni dati: Nel 1697 l’Inghilterra e il Galles importano (legalmente) solo 22 galloni di rum. Nel 1710 22.000 galloni. Nel 1733 500.000 galloni! E a partire dal 1741 le importazioni di rum superano regolarmente quelle di brandy.

E non è solo un aumento temporaneo dei consumi. E’ molto di più: il rum penetra profondamente nella vita quotidiana e nella cultura del popolo britannico che impara a sentirlo come una cosa sua, un segno di identità. Fino a ieri, forse anche fino ad oggi.  Un successo totale. Un capolavoro di marketing al cui confronto le moderne campagne promozionali impallidiscono.

Come ce la fanno? Cercheremo di capirlo con i prossimi articoli.