Con questo articolo inizio una lunga serie dedicata a quello che è forse il più famoso dei rum, il Rum Cubano.
In Italia e credo in tutta Europa (con la parziale eccezione di Gran Bretagna e Francia) quando la gente pensa al rum, pensa prima di tutto a Cuba, e viceversa. Eppure, vi anticipo che Cuba emerge relativamente tardi sulla scena mondiale del rum. Nei primi secoli della sua storia, fra 1600 e 1700, la patria del rum è l’Impero Britannico ed infatti è la parola inglese rum con cui viene chiamato il nostro distillato in Italiano e (a volte con piccolo variazioni) in quasi tutte le lingue europee. Il Rum Cubano inizia la sua rapida ascesa molto più tardi, attorno al 1850, e solo nel Novecento, anche grazie al Proibizionismo, entra nella Hall of Fame del rum, con un successo mondiale e duraturo.
La storia del rum a Cuba è lunga e complessa, si intreccia spesso con la Grande Storia dell’isola e merita di essere raccontata. Ma prima di cominciare, due avvertimenti.
Primo. Semplificando molto una materia piuttosto complessa, nel periodo di cui ci occupiamo in questo e nei prossimi articoli, il rum a Cuba e in gran parte dell’America spagnola, è chiamato aguardiente decCaña cioè acqua ardente di canna. Solo più tardi, più o meno nella seconda metà del 1800, si è cominciato a chiamarlo ron.
Secondo. Per questo articolo, mi affido principalmente a un importante saggio di Manuel Hernández Gonzáles “La polémica sobre la Fabricación de aguardiente de Caña entre las elites Caribeñas y el Comercio Canario en el Siglo XVIII” (“La controversia sulla produzione di rum tra le élite caraibiche e il commercio delle Canarie nel XVIII secolo”). Quando non diversamente specificato, le citazioni sono da questo saggio; la traduzione è mia.
E adesso cominciamo.
Fin dall’inizio della colonizzazione spagnola, nel 1500, la Corona vieta la produzione e il consumo delle varie bevande alcoliche fermentate note alle popolazioni locali, con poche eccezioni, come il Pulque in Nuova Spagna (all’incirca, l’attuale Messico). La ragione ufficiale del divieto è proteggere la salute degli indios. La loro salute fisica, danneggiata da un consumo eccessivo, ma anche la loro salute morale e spirituale, poiché l’ubriachezza – si sostiene – spesso porta a commettere crimini e peccati. Ma c’ di più. Vietando l’uso tradizionale (rituale, religioso, magico, ecc.) delle bevande alcoliche (ripeto, fermentate, non distillate), la Corona e la Chiesa vogliono indebolire le culture e religioni indigene, che sono un ostacolo alla completa colonizzazione e cristianizzazione di quelle popolazioni.
Ci sono poi anche ragioni puramente economiche. La Spagna è un grande produttore ed esportatore di vino e di brandy e le autorità vogliono difendere questi interessi, concedendo una posizione di monopolio sul mercato americano al vino e al brandy della Madre Patria ed eliminando la concorrenza dei molto più economici prodotti locali. La Corona vieta la coltivazione dell’uva e la produzione di vino e brandy in America (con qualche eccezione) e, proibisce la produzione del nuovo distillato fatto con la canna da zucchero, il rum.
Per secoli, si emanano molte leggi che proibiscono la produzione e il consumo delle cosiddette Bebidas Prohibidas, ma con scarsi effetti pratici. Di tanto in tanto nuove leggi ribadiscono il divieto, anche con pene molto dure, ma sempre con scarso successo. Una cosa è fare le leggi a Madrid, un’altra applicare davvero in America. Sia chiaro, nessuno si oppone apertamente alla volontà della Corona e spesso i funzionari reali appena arrivati tentano di far rispettare la legge. Ma poi, con il passare del tempo, il loro zelo è sopito dagli enormi spazi che devono ispezionare, dalla complessità della struttura sociale, dalla rete di abitudini ed interessi locali e, ultimo, ma non meno importante, dalla pura corruzione.
Le continue ripetizioni dei divieti di fabbricazione del rum ci dicone che il Governo trova difficile farli rispettare, ma anche che è irremovibile nel mantenere il divieto. Di fatto, il proibizionismo non impedisce la produzione clandestina di rum, ma sicuramente rallenta il pieno sviluppo di questa industria che non riusce a soddisfare la domanda. Sappiamo infatti che spesso i coloni spagnoli comprano il rum di contrabbando dalle colonie francesi dei Caraibi.
Vediamo, per esempio, quello che scrive Pére Labat all’inizio del 1700: “Lo spirito che facciamo nelle isole con la canna da zucchero, non è una delle bevande meno usate, lo chiamiamo Guildive o Taffia. I selvaggi, i negri, i coloni umili e gli artigiani non sono alla ricerca di un altro liquore e mancano di autocontrollo, è sufficiente per loro che lo Spirito sia forte, violento e costi poco; non importa se è duro e sgradevole. Se ne vende molto agli spagnoli sulla costa di Caracas, Cartagena, Honduras e delle grandi isole”
E’ un traffico illegale, di contrabbando, perché secondo le teorie mercantiliste dell’epoca, i coloni americani devono commerciare solo con la Madre Patria. Il contrabbando fiorisce in tutto il mondo atlantico, ma è particolarmente diffuso nell’Impero Spagnolo. L’America spagnola, secondo la legge, deve commerciare solo con la Spagna, anzi solo con il porto di Siviglia (poi Cadice) che ha il monopolio del commercio con Las Indias. Ma l’economia spagnola è relativamente arretrata e non in grado di produrre la quantità e la qualità dei beni richiesti dai consumatori americani. I mercanti spagnoli di Siviglia si trovano spesso obbligati ad acquistare in Europa i manufatti che poi rivendono nelle Indie, ovviamente con un forte aumento dei costi.
Perciò le merci che raggiungono legalmente l’America sono sempre scarse e care, spesso di qualità bassa e qualche volta non arrivano proprio. E lo stesso accade per le esportazioni americane: le navi spagnole su cui portare legalmente a Siviglia i prodotti delle Indie sono poche, e il costo del trasporto alto. In realtà, il contrabbando con gli olandesi, gli inglesi ecc. è indispensabile per la vita quotidiana e per lo sviluppo sia dell’economia che della società dell’America spagnola. Tutti lo sanno e molti ci guadagnano, inclusi molti funzionari della Corona.
La guerra di successione spagnola (1701-1714) porta un re borbonico sul trono spagnolo: Filippo V, nipote del re francese Luigi XIV, il Re Sole. Sotto il nuovo regime, l’influenza del centralismo e del dinamismo francese si diffonde in Spagna. In particolare, in Catalogna si sviluppa una notevole produzione di vino e di brandy. Pertanto, arrivano nuovi divieti di produrre rum in America, sempre con scarsa efficacia.
In questi primi decenni del 1700, entra in gioco anche un nuovo soggetto, i mercanti delle Isole Canarie. Da qualche tempo hanno ottenuto il privilegio di esportare legalmente i propri vini e distillati nelle Indie, anche se in quantità limitate e in cambio dovevano inviare un certo numero di coloni per popolare l’America. Ben presto, l’interesse dei cosiddetti Isleños (isolani) si concentrò su Cuba.
“Nei Caraibi il consumo di vino era piuttosto basso. I produttori delle Canarie si sono trovati costretti a sviluppare la produzione di brandy, il Parra, al fine di creare un mercato per le loro uve, poiché la domanda di vino era così limitata”. Invece il consumo di rum era forte ed anche la produzione locale, nonostante i divieti. A Cuba in particolare il rum ha molteplici usi: carburante per la cucina, detergente per la pulizia e l’igiene personale, medicina preventiva e curative ed ovviamente bevanda di piacere.
I mercanti delle Canarie scoprono presto che vendere il loro brandy a Cuba non è facile. Il rum locale è abbondante, sempre disponibile e molto più economico, inoltre sembra che sia più popolare tra i consumatori. Nel 1714 un nuovo decreto reale vieta la produzione e la vendita “della bevanda aguardiente de caña nei Regni delle Indie ” e dal momento che i divieti precedenti non avevano avuto l’effetto desiderato, questa volta non solo si vieta la produzione, ma si ordina anche la distruzione di tutti gli alambicchi e degli altri strumenti e materiali utilizzati per produrlo, sotto pena di una forte multa. Ma documenti contemporanei ci confermano che nelle piantagioni a La Habana, Villaclara y Sancti Spìritus è pratica comune fabbricare il rum ed anche questa volta gli effetti del divieto sono scarsi, tanto che viene ribadito nel 1720 e nel 1724.
Anni dopo, in un rapporto scritto intorno al 1737, “L’intelligente Governatore perpetuo del Consiglio Comunale di La Laguna (Tenerife), José Antonio de Anchieta y Alarcón individua le ragioni esatte per l’aumento della produzione e del consumo di rum a Cuba a scapito del brandy. Prima di tutto, il significativo aumento di disboscamento per piantare canna da zucchero vicino a La Habana, da cui provenivano carichi continui di rum prodotto nelle piantagioni. Quello che dice del prezzo è decisivo. Il rum è venduto a 28, 30 pesos al barile al massimo e una caraffa costa nelle taverne 3 Reales di argento, dieci volte meno di una caraffa di brandy. [Inoltre] Il numero di caldaie e alambicchi è aumentato in modo spettacolare, arrivano sulle navi britanniche dell’Asiento o dalla Nuova Spagna: la quantità prodotta è così grande che lo esportano a Campeche e in Florida. Con tale abbondanza ad un costo così basso, la continuità di un commercio di brandy è impossibile”
De Anchieta y Alarcón comprende con grande chiarezza che nel corso degli anni Cuba è cambiata. Non è più solo un importante scalo e un fornitore di carne e pelli per la flotta delle Indie. Nella primi decenni del 1700 l’agricoltura, in particolare il tabacco e lo zucchero, diventano centrali per l’economia e la società dell’isola. Lo sviluppo della coltivazione della canna da zucchero e della produzione di zucchero ha i suoi alti e bassi, ma nel complesso cresce, iniziando a segnare e plasmare il paesaggio agricolo ed il tessuto sociale. Sappiamo che nel 1749 ci sono 62 piantagioni intorno a La Havana e nel 1761 sono già 98, e di dimensioni più grandi. La maggior parte della produzione è concentrata attorno alla capitale che, grazie alle sue strutture ed al suo porto, permette di contenere i costi di trasporto. E dove c’è lo zucchero, prima o poi c’è anche il rum. “La distillazione di aguardiente de caña è vecchia come le piantagioni stesse … È prodotto in tutte le piantagioni ben gestite in un reparto specifico, a volte separato dall’edificio principale dove viene prodotto lo zucchero, e che prende il nome proprio dall’apparato che contiene, l’alambicco”; così dice Jacobo de la Pezuela il secolo successivo nel suo grande “Diccionarío … de la Isla de Cuba” pubblicato nel 1863.
I mercanti delle Canarie non si arrendono e si appellano ancora una volta alla Corona. Il 5 giugno 1739 una nuova legge ribadisce il divieto, questa volta decretando anche che “entro 15 giorni i piantatori cubani devono consumare tutto l‘aguardiente de caña prodotto dai loro alambicchi, che devono essere fermati e distrutti, sotto pena di una multa di 200 Ducados.”
Questa volta, però, la reazione è differente. Divenuti ormai ricchi grazie al tabacco ed allo zucchero, i piantatori dell’Avana non rispondono al nuovo divieto con il silenzio e la finta obbedienza, continuando a fare tutto come prima. No, questa volta i piantatori si oppongono apertamente al divieto, cercando di difendere i loro interessi legalmente.
Infatti, nello stesso 1739, rispondono con un documento “Memorial de los Dueños de Ingenios de La Habana” (Memoriale dei Piantatori di La Avana). In esso esprimono la loro opposizione all’entrata in vigore della nuova legge e presentano le loro argomentazioni molto chiaramente. Dichiarano apertamente di aver prodotto il rum da lungo tempo, e che vogliono continuare a produrlo perché è vitale per la sopravvivenza delle loro imprese, dato l’alto costo di installazione e di gestione di una piantagione e il basso prezzo che ottengono per lo zucchero.
Questo è tutto per ora, esamineremo questo straordinario, praticamente sconosciuto documento nel prossimo articolo.