Racconta la leggenda che a Salerno, nell’Alto Medioevo, si incontrarono quattro maestri della medicina: Helinus, Adela, Pontus e Salernus – un ebreo, un arabo, un greco e un salernitano: insieme fondarono la Scuola Medica Salernitana, la prima grande istituzione medica dell’Occidente medievale. Anche la vicina abbazia benedettina di Montecassino dette il suo contributo e nel IX secolo la Scuola era già famosa: da tutta Europa i malati accorrevano a Salerno per curarsi… e i medici per imparare.
È proprio a Salerno che, attorno al XII secolo, inizia il cammino dell’alcol in Occidente. Alcol che, probabilmente, era già stato scoperto distillando il vino dagli alchimisti arabi e alessandrini: erano però rimaste esperienze isolate, chiuse nei laboratori degli alchimisti, spesso segrete. A Salerno, invece, la nuova sostanza viene usata in medicina: sia pur lentamente ed in circoli ristretti, l’alcol comincia pian piano a diffondersi.
Il vero salto verso la fama, però, arriva attorno al Duecento; un po’ più a Nord, nell’Italia dei Comuni, in particolare a Bologna. I progressi tecnici permettono un’efficace raccolta / condensazione dei vapori dell’alcol etilico e una nuova mentalità concreta e razionale sa farne buon uso. A Bologna, all’ombra dell’Università, medici, alchimisti e filosofi fanno esperimenti con questa curiosa sostanza, incolore come l’acqua, ma che brucia, risana e conserva: un’ acqua meravigliosa. E le raccontano nei loro libri. Per un po’ non sanno bene come chiamarla, poi un nome appare: Aqua Vitae, Acqua della Vita, a volte detta anche Ardens, ardente.
Aqua Vitae è il nome con cui si diffonde e da cui derivano il francese eau de vie, il tedesco aquavit, lo scandinavo akvavit ed anche il gaelico uisgebeatha, poi diventato whisky. E fin dai primi passi, si distinguono due tipi fondamentali: aqua vitae simplex fatta di solo vino distillato e aqua vitae composita dove al vino distillato vengono aggiunte piante, radici ed erbe medicinali di ogni tipo.
Vediamo cosa scrive il grande medico Taddeo Alderotti attorno al 1280: “Di acquavite, ce n’è una semplice e una composta. La semplice è quella che, senza mescolanza di alcuna cosa, semplicemente si estrae dal vino ed è chiamata anima del vino. Assume le proprietà di tutte le erbe – eccettuate soltanto le viole – fiori, radici e spezie, se rimangono per tre ore in essa. L’acquavite composta si combina con spezie, radici, fiori ed erbe, secondo l’esigenza e la convenienza di ciascuna malattia. La sua dose, in bevanda, sia da una dramma fino a due. E la dose si accresca e si diminuisca secondo il vigore del paziente.” (una dramma bolognese dell’epoca era circa 3,75 grammi).
È una cura efficace contro quasi tutte le malattie del corpo, ma non solo. “Contro la malinconia e la tristezza: ogni mattina mezzo cucchiaio, a stomaco digiuno, preso con un bicchiere di vino profumato, rallegra, rende ilare e giocondo … Con l’acqua predetta, fatta così, il paziente corregga il suo vino, ogni quattro giorni. E dell’acqua ardente ne beva ogni giorno un cucchiaio, mattina e sera, continuamente fino ad un anno.”. Così ci ricorda Alderotti, specificando come, inoltre, sia in grado di migliorare il vino poco buono o deteriorato.
Se dunque l’aqua vitae simplex è l’antenata dei moderni distillati quali grappa, brandy, whisky, ecc. possiamo a tutti gli effetti dire che l’aqua vitae composita è la madre di liquori, amari, aperitivi, digestivi e corroboranti.
Le ricette erano numerose, perché la farmacopea medievale si basava moltissimo sulle piante, le erbe e le radici del mondo naturale, ma i modi per produrla erano basicamente tre. Nel primo caso si univano direttamente le erbe al vino, distillando poi l’insieme. In un secondo, prima si distillava il vino da solo e poi vi si mettevano in infusione le erbe desiderate. Infine, in un terzo caso l’aqua vitae simplex e le erbe venivano messe insieme nell’alambicco, distillando nuovamente.
Inizialmente l’acquavite composta è un medicinale piuttosto caro: i medici prescrivono di berla (e/o di spalmarla) sulle parti malate. Poi, grazie anche all’impegno degli alchimisti francescani, si fa strada l’idea che la novità debba essere alla portata di tutti, un toccasana per mantenere in salute e “rinviare” la vecchiaia. Si beve soprattutto acquavite composta perché le erbe medicinali potenziano, si crede, gli effetti farmacologici (oltre ad avere un gusto più gradevole).
Così si giunge al 1348, quando compare la Peste Nera – uno dei più grandi flagelli della storia – e, in seguito, altre epidemie minori, ma comunque terribili, continuano ad imperversare in tutta Europa: i medici, quasi impotenti, consigliano alla popolazione terrorizzata di bere acquavite ogni giorno, per prevenire la malattia oltre che per curarla.
Passo passo, di questa medicina si cominciano ad apprezzare anche altre virtù, fino a giungere veramente molto vicini ad una tipologia di consumo di puro piacere: “La sua bontà agisce non solo nel corpo, ma anche nell’anima: infatti fa dimenticare la tristezza e l’angoscia, provoca allegria e rinfranca l’intelletto quando si dedica alla ricerca di cose difficili e sottili, dà coraggio, aiuta a sentire meno il dolore e la fatica, ed ha molte altre proprietà di questo genere.”
Marco Pierini
PS: ho scritto questo articolo in occasione dell’evento Aperitivi&Co Experience che si è tenuto a Milano nel marzo 2018.