ESERCITO E RUM

Negli articoli precedenti abbiamo raccontato di come il rum abbia conquistato il cuore (ed il mercato) degli inglesi nel Settecento, a seguito di una delle più grandi e vittoriose campagne di marketing mai state effettuate. Abbiamo visto come la penetrazione del rum nel mercato inglese sia stata il risultato di un organizzato sforzo lobbystico portato avanti dai grandi piantatori delle Indie Occidentali su Governo, Parlamento e Marina Militare e con l’aiuto del mondo della scienza e della moda. Secondo S. W. Mintz, nel suo libro “Sweetness and Power”, questo intervento dello Stato ha rappresentato un vero esempio di “strisciante socialismo,  molto necessario per una industria nascente”.

Per completare la cornice di questo sforzo pubblico volto a promuovere il consumo di rum, ora vogliamo parlare della diffusione del Rum nell’esercito britannico nel Settecento e all’inizio dell’Ottocento, quello che R.N. Buckley ha definito nel suo libro “The British Army in the West Indies” come “alcolismo sponsorizzato dallo Stato”.

Tradizionalmente i soldati inglesi avevano birra – e occasionalmente del vino – all’interno della loro razione giornaliera. L’esercito non aveva il problema che affliggeva la Marina di mantenere l’acqua e la birra potabili durante lunghi viaggi oceanici, pertanto non si poneva la necessità di distribuire distillati ai soldati.

Una distribuzione massiva di Rum ai soldati iniziò soltanto intorno alla metà del Settecento nelle Indie Occidentali e nel Nord America e aumentò rapidamente nel corso del secolo. Tuttavia, durante le ostilità che videro gli Inglesi apporsi ai Francesi e ai Nativi americani (all’interno del conflitto noto come “Guerra dei Sette Anni”, fra il 1756 e il 1763), il rum veniva distribuito solo in occasioni speciali, ad esempio quando gli uomini dovevano affrontare il maltempo e/o la stanchezza, ma non era prevista alcuna dose giornaliera. Solo durante la Rivoluzione americana (1775 – 1783) sappiamo con certezza di una razione quotidiana di rum: un gill al giorno, che equivale a un gallone al mese (quasi 4 litri).

Ma in America il rum era economico e facile da acquistare in grandi quantità. Locandieri con licenza, senza licenza, mogli di soldati, piantatori, e spesso gli stessi ufficiali vendevano rum economico ai soldati. E i soldati ne compravano e bevevano in enormi quantità, con una bramosia irrefrenabile. Ne bevevano in quantità tali che probabilmente passavano la maggior parte del tempo in uno stato di quasi ubriachezza.

Ma perché? In generale, nel Settecento, anche in patria i Britannici bevevano moltissimo, vedi la cosiddetta “Gin Craze“. Inoltre, la vita di un soldato era allo stesso tempo brutale e noiosa. Nelle Indie Occidentali, molte e dolorose malattie, spesso mortali, flagellavano i soldati, più delle armi nemiche. A brevi momenti in battaglia, con grandi fatiche e tanto sangue, seguivano lunghi periodi di noia e inattività con condizioni di vita dure e disciplina rigida. Ubriacarsi era spesso l’unica via di fuga possibile da questa tremenda routine. Il vino e il brandy erano costosi, troppo per i soldati semplici, mentre il rum era economico e disponibile in grande quantità. Il rum, quindi, era la bevanda più consumata, l’unica che poteva garantire un po’ di evasione alle masse dei soldati.

L’ubriachezza peggiorava la già scarsa salute dei soldati, con conseguenze negative sull’efficienza dell’esercito. Inoltre, minava la disciplina e metteva a dura prova le relazioni con le popolazioni civili, con un malcontento diffuso, fustigazioni e corti marziali. Molti ufficiali e chirurghi militari erano ben consapevoli dei pericoli di questa situazione, ma non erano in grado di cambiarla.

Il fatto era che i soldati volevano bere. O meglio, volevano ubriacarsi nel modo più rapido ed economico possibile. Pertanto, distribuire rum era il modo più semplice ed efficace per ottenere in cambio fedeltà e ubbidienza. Gli ufficiali sapevano che tentare di tagliare o anche solo limitare le razioni di rum poteva portare subbugli ed anche aperti ammutinamenti. Inoltre, l’alcol aveva radici profonde nella cultura militare.

L’opinione della medicina ufficiale era anch’essa ambivalente: molti medici condannavano l’abuso di alcol, mentre altri lo ritenevano utile per preservare la salute degli uomini sia in condizioni di clima freddo o caldo sia “come precauzione contro l’aria nociva”. Infine, quando non erano in servizio, le truppe di solito non vivevano in caserme, ma erano alloggiate in taverne e case di civili dove un vero controllo era impossibile, e il rum facilmente reperibile.

Quindi, l’ubriachezza dei soldati era comune nell’esercito britannico fino all’Ottocento inoltrato. Ma che tipo di rum bevevano, però? Vediamo.

John Bell aveva servito come chirurgo militare in Giamaica. Rientrato in Inghilterra, nel 1791 pubblica “An Inquiry into the causes which produce, and the means of preventing diseases among British Officers, Soldiers, and others in the West Indies. Containing observations on the action of spirituous liquors on the Human body” (traducibile con “Un’inchiesta nelle cause che producono e nei mezzi che prevengono malattie fra ufficiali inglesi, soldati ed altri nelle Indie Occidentali. Contiene osservazioni sull’azione dei liquori spiritosi”). Come molti, Bell era scioccato dal tasso di mortalità “in alcuni reggimenti i due terzi, in altri quasi la metà degli uomini, morirono o furono resi inabili al servizio prima che fosse passato un anno, o al massimo un anno e mezzo, dal loro arrivo nell’isola della Giamaica”. Nelle Indie occidentali le malattie – le  “febbri “- uccidevano molti più soldati delle armi dei nemici.

Come molti medici della sua epoca, Bell sottovalutava il ruolo delle malattie infettive e pensava che il clima, la dieta e lo stile di vita fossero i fattori principali che garantivano una buona salute. Secondo lui, l’eccessivo consumo quotidiano di rum era la causa principale delle malattie e dell’alta mortalità tra i soldati. La razione giornaliera era mezza pinta (quasi 0,3 litri) e di solito era diluita con acqua, non sappiamo in quale rapporto. Ma i soldati compravano anche a basso prezzo molto rum non diluito, “grandi quantità e di qualità tra le più esecrabili”, da venditori privati.

Bell non approvava l’aggiunta di acqua al rum. “Con questo modo di usarlo, il rum è forse più dannoso per il corpo di qualsiasi altra bevanda, perché esercita un’impressione semplice e non raggruppata, che diventa più debole con una frequente ripetizione della sua causa: e quindi, dopo qualche tempo, un aumento di la quantità di spirito diventa necessaria”. In altre parole, la razione giornaliera del rum diluito dall’esercito spianava la strada all’alcolismo.

Ma non basta. La distillazione è un’arte, ma assai pericolosa, anche oggi. Due secoli fa, nelle Indie Occidentali, piantatori e distillatori producevano per i soldati un tipo di rum che doveva essere solo forte ed economico. Veniva fermentato e distillato molto rapidamente, risparmiando sui costi, senza alcun invecchiamento o rispetto per la qualità. Per quanto ne sappiamo, le teste e le code non venivano rimosse e con ogni probabilità all’interno del rum c’era metanolo e tanti congeneri “cattivi”. E probabilmente anche polvere di piombo. Sì, perché all’epoca il piombo ed il peltro venivano largamente usati nei calderoni, tubi, alambicchi ecc. usati per la produzione di zucchero e di rum.

Sappiamo di soldati che morivano subito dopo aver bevuto, o che cadevano a terra in uno stato di torpore, di giovani robusti che deperivano rapidamente. Di dolori lancinanti, organi ulcerati, malattie …. Le notizie riportate dai chirurghi militari dell’epoca e le prime autopsie scientifiche ci raccontano una storia terrificante.

Per riassumere, sembra che il rum dei soldati non era più solo il “liquore caldo, infernale e terribile” descritto da Richard Ligon negli anni Cinquanta del Seicento, ma era spesso una vera bevanda tossica.

Marco Pierini

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